Storia di Afragola III– dall’Unità a un futuro incerto

Via GramsciAll’indomani dell’annessione al Regno sabaudo del 2 ottobre 1860, Afragola si presentava come un casale agricolo non dissimile da quello descritto nelle sue “memorie del Comune di Afragola da Giuseppe Castaldi trent’anni prima. Nel 1830, il cultore di cose storiche afragolese aveva analizzato le diverse produzione del casale: la canapa e il lino per quanto riguarda l’industria tessile, che una relazione comunale del 1889 segnala ancora cosi florida da dare lavoro ad almeno 200 fra lavoratori e giovinette; frumento, granone, legumi, frutta, melloni riguardo i cibi; scarsa la produzione di vino, e quasi del tutto terminata quella del tabacco. Le industrie principali erano quella tessile e, dal Seicento, quella della fabbricazione dei cappelli, per cui Afragola andava famosa in tutto il Regno borbonico. Nel corso della seconda metà dell’Ottocento, le spoliazioni dell’apparato economico dell’ex Regno ebbero eco anche da noi: la suddetta industria dei “cappellari”, che a fine ‘700 dava lavoro a 7200 persone, un secolo dopo, nel 1889, sfamava appena 25 operai maschi a causa del trasferimento dell’industria altrove e all’aumento dei prezzi. Dal punto di vista viario, se si escludono le aree corrispondenti alle attuali piazze Belvedere, Gianturco, Municipio e Castello, e alle vie che a queste conducevano, il casale presentava sentieri battuti e poco e male selciati, se si esclude dal conto anche l’attuale via Dario Fiore, ben sistemata già a metà del Settecento. Mancavano le fogne e l’illuminazione per vaste aree del paese, non tutto urbanizzato. Il quartiere di San marco era ridotto all’attuale piazza di S. Marco all’Olmo, e già la chiesa medievale di S. Marco in Sylvis era circondata da campi e da alberi da frutta, ed era tagliata fuori da ogni contatto dopo il tramonto; piazza Belvedere proseguiva per l’attuale Corso Garibaldi, e non aveva le diramazioni verso il quartiere Oberdan, semplicemente perché esso non esisteva; a nord, oltre la chiesa di San Michele, v’erano campi e un solo sentiero fino al centro di Cardito.
Il centro si “spostava”: non era più piazza Municipio o dell’Arco, ma diveniva piazza Belvedere, vicina all’allora santuario di Sant’Antonio e a Casoria: la borghesia iniziava a costruirsi i suoi palazzi lungo Viocciola Sant’Antonio, oggi via Roma, e all’inizio del Novecento Afragola si presenta come un casale “bicefalo”: a sud il nuovo e i centri economici, a nord il centro storico, decisionale e i quartieri poveri. I sindaci cercavano di fare quanto possibile per apportare migliorie: i lavori di Vincenzo Maiello, primo sindaco postunitario nel periodo 1864 – 1870, furono azzerati da una fenomenale alluvione che costrinse il suo successore Nicola Setola a chiedere aiuta ai casali di tutta Italia ( nel 1878). L’istruzione pubblica consisteva in due stanze a lato dell’attuale casa comunale, mentre le organizzazioni religiose erano meglio organizzate grazie alla lunga tradizione dell’insegnamento: pensiamo al “Ritiro” per orfane insediatosi nel castello nel 1875.
OLYMPUS DIGITAL CAMERAUn casale di 12000 abitanti, la maggior parte dei quali analfabeti, e almeno due terzi dei quali contadini o di modesta condizione: questo era il quadro di Afragola all’inizio del Novecento, e che si mantenne inalterato, se non peggiorato, sotto la prova del fuoco dei cannoni della prima guerra mondiale. Il sindaco Achille Ciaramelli (1912 – 1920) tenne la barra in quei mesi difficili, e si era arrivati al punto tale di povertà che l’annata del 1918 fu una delle più catastrofiche, in quanto la migliore gioventù locale era partita per i teatri di guerra. L’avvento del fascismo, al contrario diq aunto possa far credere la retorica degli ultimi anni, portò vantaggi al casale: paradossalmente, ciò che non era riuscito in tanti anni di democrazia liberale, riuscì sotto la dittatura e il podestarato di Luigi Ciaramella. Si ampliarono le strade, si ottenne un rafforzamento delle corse della tramvia lungo l’asse De Rosa – Sanfelice ( due anni fa interessato da lavori di riassetto urbano), si dotarono di fogne le vie del centro storico, si costruì l’edificio scolastico Marconi, e nel 1935 si ottenne dal governo il titolo di città. Si può dire che mentre nessuno esplose d’entusiasmo per il fascismo, tutti ne godettero i benefici. All’indomani dell’ 8 settembre 1943, la città fu occupata dai tedeschi, che organizzarono un campo di prigionia ai limiti dell’attuale via Sannitica, nel casone Spena. Esso durò un mese: il 3 ottobre dello stesso anno, i tedeschi fuggirono verso Aversa, e gli angloamericani entrarono in città, costruendo un loro campo POW, il n. 209, che ebbe tra le altre migliaia di prigionieri anche Erick Priebke (per info sui due campi di prigionia, visita il mio blog Vetus et Novus).
Il ritorno della democrazia, con l’avvento del sindaco Giuseppe Iazzetta ( 1946 – 1953) coincise col il boom economico a livello nazionale. Armando Izzo, partigiano bianco e sindaco dal 1953 al 1960, diede la fisionomia di città ad Afragola, con strade, fogne, sbocchi sulle vie principali di comunicazioni, costruzione di due scuole medie e avvio dei lavori per il primo liceo scientifico. A partire dagli anni Sessanta, infine, si assiste all’inizio della fine per l’ondata di sviluppo afragolese. Il rifiuto di gran aperte della popolazione di vendere le proprie terre per insediarvi industrie, preferendo la costruzione di palazzi famigliari, e la miopia degli amministratori che si sono succeduti al palazzo di città, ha prodotto un impoverimento generalizzato della popolazione, e la ripresa dell’emigrazione come alla fine degli anni Venti.
Il sisma del 1980, e l’arrivo di migliaia di persone da Napoli, ha fatto il resto: la crescita della criminalità, la costituzione di un rione, le Salicelle ( dal nome storico dell’area in cui fu costruito) mai davvero collegatosi al centro anche per responsabilità dei nuovi venuti, il “sequestro” della carica di sindaco nelle mani di poche famiglie politiche che se la contendevano a rotazione, produsse lo stop a ogni tentativo di riscatto per la città. Mentre a livello politico qualcosa è iniziata a cambiare dopo la fine della Prima repubblica, con l’eliminazione dei vecchi baroni democristiani e l’avvento di nuove personalità (Salzano nel 2001, Nespoli nel 2008), a livello culturale si osserva da ormai decenni alla ripetizione vieta e trita dei soliti schemi e delle solite “storie di Afragola”, scritte da professori per professori e per allungare un curriculum misero, e all’ignavia delle cosiddette elitè culturali, incapaci di fare davvero cultura e nonostante ciò ancora ascoltate al piano nobile della Casa comunale.
Una città spenta, abbandonata a se stessa, che non vuole cambiare, che si pente di non essersi dotata di industrie e che nonostante ciò continua a inseguire il sogno, ormai realizzabile, di farsi “un nuovo quartino”.


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