La Campania, e in particolare la regione dell’entroterra di Napoli, è stata crocevia di popoli e culture ben da prima dello sbarco dei Greci su Megaride nel VI secolo a. C. Si può dire, però, che mentre il litorale abbia avuto fin da subito una caratterizzazione greca ben definita e costante nei secoli (a Napoli il greco sarà la lingua ufficiale e poi ufficiosa fino al Ducato bizantino nel X secolo), l’entroterra è stato soggetta a cambiamenti, incontri e scontri tra culture diverse, di volta in volta egemoni.
Questo discorso vale, a mio avviso, per Afragola più che per altre città: la posizione “mediana” fra il mondo greco a sud (Parthenope, Pitecusa, Cuma), quello osco a nord ( Suessola ) e quello poi sannita a est, ne faceva un territorio di confine dunque di “melting – pot” culturale. La presenza greca è testimoniata dal ritrovamento, avvenuto circa 10 anni fa, di una capanna e di vasellame di origine micenea in località Cinquevie. L’interesse per questa scoperta sta nel fatto che, dai primi rilevamenti, sembrava che si fosse in presenza di un vero e proprio villaggio, e i Greci raramente creavano avamposti così addentrati nel territorio colonizzato e così lontano dalla costa.
Evidentemente, il territorio di quella che poi sarà Afragola si presentava, proprio per la sua caratteristica frontaliera, a scambi commerciali che non potevano avvenire altrove, e particolarmente adatto a un sito demico anche solo stagionale. Supposizione che purtroppo rimarrà tale chissà fino a quando: nel 2007 il sito fu interrato di nuovo nell’ignavia delle autorità e, bisogna riconoscerlo, anche della popolazione. Oltre ai Greci, l’area era abitata o almeno frequentemente visitata anche dai Sanniti, come ci testimoniano i ritrovamenti archeologici avvenuti in passato, dall’Ottocento a oggi, e in particolare quelli degli anni Sessanta del secolo scorso nella località Cantariello. Il più importante di questi reperti è una tomba a doppia cassa, che conteneva gli oggetti di lavoro dell’ospite, più alcuni monili e dipinti. Tale ritrovamento è importante ai fini della ricerca, poichè indica anche che un certo tenore di vita agiato era stato raggiunto in quest’epoca. Oggi è esposta al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Del periodo dei Romani restavano, fino a circa 50 anni fa, poche ma significative tracce: un’ara commemorativa, indicativamente del I secolo d. C. poichè riportava il nome di Cesare Augusto, usata per secoli come abbeveratoio nella zona di San Marco, per poi essere distrutto a metà del Novecento per formarne del brecciame per il rifacimento delle strade dal locale comando dei Carabinieri (!) ; resti di 3 colonne romane, di cui ne è attualmente sopravvissuta una sola, nel quartiere San Giorgio; e la famosa Pietra di San Marco, che è quanto rimane forse di un antico altare ed è attualmente incastonata dietro la chiesa di San Marco in Sylvis.
Caduto l’Impero d’Occidente, venne meno anche un’autorità statale in grado di garantire la sicurezza del territorio,e così la campagna si spopolò. Il Clanio, unico corso d’acqua delle vicinanze, privo di manutenzione regolare degli argini, si impaludò,e l’area attorno diventò invivibile. Per circa mezzo millennio c’è una totale assenza di fonti relative al nostro territorio. I pochi abitanti si radunarono in villaggi sparsi,di cui oggi restano solo i toponimi: Arco Pinto, Cantarello, Salice, Arcora. Essi sono segnalati e identificati dal Castaldi nelle sue “Memorie”. Arco Pinto si trovava a nord – ovest dell’attuale territorio e si pensa che sorgesse nei pressi di un arco dell’acquedotto romano, toponimo che del resto si trova in altre zone della città (come Piazza dell’Arco) e dell’area attorno a Napoli (come Pomigliano d’Arco). Cantarello era a sud- est, identificato con il sito dell’attuale cimitero. Il Salice e Arcora sono oggi in territorio di Casalnuovo; del secondo resta a memoria la chiesa di Santa Maria dell’Arcora, risalente al periodo medievale,che si trova appena usciti da via San Marco sul Corso Umberto I di Casalnuovo.
Tali villaggi di piccole dimensioni iniziarono a svuotarsi in concomitanza della nascita di tra centri di dimensioni più grandi,che corrispondo ai tre quartieri più antichi della città: Contrada Regina (poi quartiere di Santa Maria), San Marco e San Martino ( poi San Giorgio). Proprio in questo periodo nasce anche il toponimo AFRAORE, ben prima quindi dell’anno 1140,indicato come nascita del casale. La fondazione da parte del re Ruggero prende il via dalla prefazione di un certo “Bocrene”alla terza edizione, nel 1682, di un poemetto di stile rozzo, attribuito al frate Domenico de Stelleopardis che lo avrebbe scritto nel 1390. La prefazione seicentesca afferma che il re Ruggero donò nel 1140 a 10 famiglie, ci sui si fanno anche i nomi, il territorio in cui sarebbe sorta la nostra città. Tale prefazione si rifà a uno scritto di un parroco di San Marco del finire del Cinquecento (che riporta la data ma non i nomi delle famiglie), e né il parroco né “Bocrene” che ne riprende le parole un secolo dopo ci dicono da quale fonte prendano il 1140 come data di fondazione. Dobbiamo quindi concludere che tale datazione sia erronea, e che Afragola si sviluppò come accentramento di più villaggi vicini nel corso dei secoli. Vero il Duecento, un primo nucleo compatto della città era tuttavia già presente. Vi aspettiamo per la seconda parte.