Se i referendum offendono il corpo elettorale

Un fallimento annunciato. Il 20% di affluenza a livello nazionale (a Casoria addirittura non si è arrivati al 3%) ha sancito il mancato raggiungimento del quorum per l’ennesimo referendum, il dato più basso di sempre.
Ma guai a dare la colpa di questo fallimento agli elettori. Se nella storia sono stati diversi i flop referendari con il mancato raggiungimento del quorum è vero pure che quando gli elettori sono stati chiamati ad esprimersi su temi effettivamente sentiti a livello sociale il meccanismo previsto dall’articolo 75 della Costituzione è risultato efficace. 
Fatta eccezione per il referendum del 2 giugno 1946 dove si doveva scegliere tra monarchia e repubblica, la partecipazione del corpo elettorale ai referendum si è avuta sull’aborto, sul divorzio, sul nucleare ma anche su temi di rilievo giuridico come la modifica del Titolo V della Costituzione, era il 2001. 
La crisi dell’appeal referendario comincia in anni recenti. Era il 1997 in cui non si raggiunge il quorum per i sette referendum (superstiti di trenta) su Ordine dei giornalisti, golden share, carriera e incarichi extragiudiziari dei magistrati e altri temi minori. Poi via via un trend sempre più al ribasso con percentuali sempre più mortificanti in funzione del tecnicismo dei quesiti. 
Ed è lì che sta la colpa della politica. Proporre ai cittadini dei temi fin troppo tecnici e soprattutto sul quale il parlamento non ha raggiunto un accordo dopo aver inutilmente litigato. Si pensi al referendum sulla fecondazione assistita. Quorum non raggiunto nel 2005.
Dunque l’ultima sonora sconfitta referendaria di qualche giorno fa deve far riflettere tutte le istituzioni sul reale utilizzo di questo strumento di alta democrazia che inoltre avrebbe bisogno di alcuni correttivi tecnici e di esser messo al passo con i tempi. 
Mai più referendum celebrati in piena estate ad esempio, in cui fa più gola una cabina in spiaggia che in una sezione elettorale e poi potrebbe essere giunto il momento di sperimentare per queste consultazioni la modalità di voto elettronico, fruttando le sempre più diffuse carte d’identità elettroniche per un sistema di volto meno invasivo, più pratico che dia la possibilità di voltare in più giorni. Come ad esempio si fa negli Stati Uniti. 
Infine il ruolo del Parlamento. I cinque questi di domenica scorsa erano il risultato della disputa dei partiti sulla giustizia. Negli elettori che per il 62 % si sono informati sul contenuto del referendum è scattato il meccanismo per cui: se li votiamo per fare le leggi e poi questi le leggi non le fanno che li votiamo a fare?
Ebbene considerata la giustezza di alcune rivendicazioni, come quella della responsabilità civile dei magistrati, è il caso adesso per i legislatori adesso di mettere mano ad una seria riforma della giustizia che non sia punitiva per i magistrati ma che li ponga ad un gradino di giustezza rispetto a tutti gli altri cittadini. Un po’ come è successo per il referendum del 1990 sui temi ambientali in cui non si raggiunse il quorum ma in cui la volontà dei cittadini fu tutta tramutata in leggi. 


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