Sant’Antimo. Migranti in piazza contro la schiavitù

Lavoro:migranti in assemblea contro turni e ritmi proibitiviDomenica 15 febbraio circa cento migranti bengalesi operanti nel settore tessile di una fabbrica di Sant’Antimo si sono radunati in assemblea con lo scopo di ribadire il diritto alla giustizia contro i loro datori di lavoro. Già tempo or sono tali operai si erano mobilitati denunciando i datori per i turni proibitivi a cui a tuttora sono sottoposti e per una retribuzione iniqua e non proporzionale rispetto alla quantità di lavoro prodotto. In virtù di questa denuncia, uno degli operai è stato addirittura aggredito fisicamente da uno degli imprenditori, perché lui e come gli altri operai avevano chiesto lo status di schiavitù. L’assemblea è stata organizzata in due tappe: nella prima tappa si è consumata a piazza della Repubblica, per poi spostarsi nella sede dell’associazione “Dada Ghezo” dove l’incontro è proseguito con una lettera che i migranti hanno letto descrivendo la loro situazione. Ecco quanto riportato dalla lettera: “Vi scriviamo perché cerchiamo aiuto. Tanti di voi sanno chi siamo. Siamo gli schiavi delle fabbriche di Sant’Antimo che da oltre un anno lottano. Ci siamo impegnati finora a unire persone che sono sfruttate 14 ore al giorno, picchiate e offese nella propria dignità e pagate meno di 300 euro al mese. Tutto ciò evidenzia l’ipocrisia e l’indifferenza di chi preferisce voltarsi dall’altro lato. Il famoso made in Italy è cresciuto negli anni sulle nostre spalle, sulle nostre fatiche. Veniamo tutti dal Bangladesh dove purtroppo essere sfruttati nel lavoro è ancora più concentrato. Siamo arrivati qui persuasi dal fatto di poter trovare pace e diritti, e invece viviamo in una situazione infernale. Ora vogliamo dire basta! Ci appelliamo all’associazione 3 febbraio, denunciando chi ci sfrutta. La vostra solidarietà ci ha rafforzato, il bene che avete dimostrato nei nostri confronti ha consentito a noi stranieri che viviamo in questo paese di sentirci a casa, confermando che ne è valsa la pena di venire sin qui. Ma a questa solidarietà non corrisponde ancora la giustizia di questo Stato. Denunciando ci siamo esposti a ritorsioni e a minacce di chi tutela le barbarie della schiavitù. Abbiamo tenuto duro nonostante siamo stati bersagliati da insulti razzisti. Gli aguzzini che ci sfruttano sono liberi e, forti dalla loro impunità, ci attaccano. Di recente hanno sporto denuncia contro un nostro fratello con un’accusa del tutto inventata. Sono stati in grado di farlo arrestare per due giorni prima che riuscissimo a dimostrare le incongruenze di tale accusa in modo che fosse liberato. Ci vogliamo ribellare perché il padrone della fabbrica che noi abbiamo denunciato è libero, prosegue a sfruttare i lavoratori trattandoli da schiavi e noi che combattiamo per questo siamo sotto mira dei loro attacchi. Invece noi miriamo a sperare e a fidare nella giustizia perché non molliamo. Anzi siamo sempre più convinti di poter essere da esempio dando lezione di dignità e riscatto a tutti, quindi andiamo avanti. Necessitiamo di voi più che mai per ottenere la giustizia in modo da punire chi sfrutta e da accogliere chi denuncia. La vita degli immigrati attualmente diventa sempre più difficile perché crescono purtroppo il razzismo e le barbarie, obbligando i nostri fratelli a morire in mare. Vogliamo che questo nostro gesto coraggioso sia un esempio positivo per tutti e che non soccomba”.


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