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Rubrica “Usi, costumi, consuetudini del mondo classico”. Lo stupro come emblema di virilità

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La coppa Warren, skyphos romano d’argento che rappresenta una scena erotica omosessuale.

I romani zigzagano tra i dolcissimi ed iperbolici mille baci cantati da Catullo ed un’idea davvero rozza della virilità. Per qual ragione coltivano una concezione tale della virilità da reputare con ossessiva pertinacia che essa si esplichi in una funzione predatoria dell’organo virile? Occorre rievocare il contesto culturale in cui il pargolo romano acquisisce il sistema di valori trasmessi ed un’educazione che gli impone di diventare un dominatore il cui compito si dipana nel sottomettere il mondo. Virgilio rivolge un accorato ammonimento: “Romano, ricordati che devi reggere gli altri popoli con il tuo imperium”. Come? “Risparmiare quelli che si sono sottomessi, debellare chi osa opporsi”. Il romano ha l’obbligo d’imporsi: con l’uso della parola sui concittadini; con l’efficacia del ferro e la supremazia delle leggi su coloro che non sono romani. La sua norma di vita è: asservire, anche in uno scenario sessuale. Così intesa la virilità è una esternazione di romanità; pertanto, una virtù politica. Paul Veyne l’ha definita una “virilità di stupro”. Sodomizzare i nemici sconfitti; intrattenere rapporti sessuali con gli schiavi: ambedue tra le manifestazioni di etica cittadina.