In qual maniera si è espressa l’omofobia nel corso dei secoli e quali caratteristiche ha assunto oggi?
L’omofobia è un dispositivo culturale, un tabù se si preferisce, che ha tutelato il patriarcato come forma di potere sociale dove l’uomo ha assunto da sempre una particolare posizione di dominio. Questo, oggi si vede molto chiaramente in alcune forme di Sovranismo, sia in Europa che non. Il “machismo” di Putin è tutto sommano speculare a quello di Bolsonaro: si tratta di espressioni assai sclerotizzate di patriarcato aggressivo e ideologico che rassicura in un momento storico dove crisi economica e trasformazioni socio culturali mettono a dura prova intere generazioni. D’altro canto si è pure osservato storicamente che più cresce la dimensione delle libertà individuali, in una precisa comunità, più crescono anche le reazioni ideologiche proprio a quelle libertà. Inoltre, fa alquanto paura quando senti gay e donne difendere posizioni come quelle di Matteo Salvini o Giorgia Meloni. Ad ogni modo, il conservatorismo di destra e religioso, in generale, è sempre in agguato.
Quali ragioni di natura storica, antropologica e politica ravvede alla base di quella che può essere reputata una persecuzione?
Come tutti i tabù, l’omofobia ha agito in modo che l’omosessualità diventasse una grave colpa, soprattutto interiorizzata, che forse la forma di omofobia più grave perché il senso di colpa una volta teneva buoni i gay, faceva in modo che tutto rimanesse sotto il tappeto e che la società “civile” non risentisse di forti cambiamenti. Se invece si pensa alla Bibbia, è inoltre chiaro come i nomadi del deserto, come quelli per esempio guidati da Mosè, condannassero l’omosessualità per una questione anche puramente pratica: fare molti figli significava per loro sopravvivere, avere più risorse per combattere. Solo successivamente le religioni monoteiste organizzate ne hanno fatto un precetto morale fine a se stesso attraverso il quale hanno represso ogni forma di libertà sessuale, fuori o dentro il matrimonio.
L’omofobia è un “dispositivo culturale” risolvibile dal Legislatore?
Sì e no. Mi spiego meglio: io non posso combattere un pregiudizio con una legge. I pregiudizi si combattono con l’educazione, con la cultura, con la possibilità di emanciparsi. Nel corso degli ultimi decenni, le battaglie civili degli omosessuali, seguendo le tracce del femminismo, hanno combattuto l’omofobia attraverso una visibilità sempre maggiore. Conoscere significa vivere le persone. Ogni forma di razzismo si supera in questo modo. Per questa ragione ha fatto molto la legge Cirinnà con le unioni civili. Banalmente, partecipare a un matrimonio gay ha permesso a molti di capire che di fatto quella coppia lì davanti a noi è una famiglia fondata sull’amore. Da questo punto di vista, infatti, c’è ancora molto da fare con le famiglie omogenitoriali. Una legge però che combatte il pregiudizio è un segnale politico necessario e forte perché afferma il principio secondo il quale non si può discriminare, dice giuridicamente che ogni forma di aggressione, verbale o fisica che sia, lo Stato la condanna e che quindi non è tutto lecito.
«Meglio a destra con le escort che a sinistra con i trans» è un’espressione tratta dal web. Quanto incide il contesto dei social media nell’acuire ed inasprire un clima già pregno di livore?
Su questo aveva ragione Eco: i social sono il bar dello sport in versione digitale dove si dice tutto perché non c’è filtro: sono tutti virologi, architetti, criminologi, giuristi… ogni occasione diventa preziosa per gli odiatori di professione, il linciaggio mediatico è di moda tra chi di fatto cova la propria frustrazione e piuttosto di cambiare preferisce attaccare in modo del tutto casuale chi invece magari ha il coraggio delle proprie idee. Gli attacchi dunque sono trasversali: donne, omosessuali, portatori di handicap, tutti… e ovviamente c’è chi strumentalizza questa violenza verbale, questi terroristi senza volto e codardi, perché può tornare comodo. Perché sono quelli che alla fine mettono i Like se serve, perché oggi come oggi conta solo avere tanti followers.
Trova che in Parlamento, laddove astrattamente dovrebbe essere assisa l’élite culturale del nostro Paese, resista ancora una dura riottosità a sancire alle cosiddette “minoranze sessuali” la piena affermazione dei loro diritti?
L’Italia è quel Paese che ha bisogno ancora delle quote rosa, è un Paese in cui certi onorevoli si possono permettere di dire mostruose sciocchezze e volgarità misogine durante i loro interventi. Purtroppo in Parlamento c’è tutto tranne che una élite culturale. Devo dire che nel corso degli ultimi venticinque anni si è passati dal bigottismo democristiano all’imbarbarimento più cruento, tra sostenitori delle scie chimiche a certe esternazioni di matrice fascista. Quindi è chiaro che qui le minoranze sessuali hanno un gran bel lavoro da fare, ma purtroppo la gente vota e in democrazia bisogna fare i conti con ciò che hai davanti. Per me, uno dei grandi problemi del nostro Paese, oggi, è una debolezza cronica della sinistra che non riesce a trovare una leadership capace di opporsi fermamente a tutta questa melma. Perché i nemici in politica si combattono con le idee. Per esempio, e se ci fossero molte ma molte più donne in politica?…. Ma confesso di avere ormai, come direbbe Pasolini, una visione apocalittica della società.
Paolo Pedote scrittore e giornalista, ha collaborato con diversi quotidiani, Radio Città Fujiko e SardegnaBlogger. Tra le sue pubblicazioni: 101 motivi per credere in Dio e non alla Chiesa (2010); Storia dell’omofobia, prefazione di Gian Antonio Stella (2011); Come in un film di Almodovar (2006); We will survive! Lesbiche, gay e trans in Italia (raccolta di saggi, curata con Nicoletta Poidimani, 2007); I crimini della Bibbia (2012) Gossip, dalla Mesopotamia a Dagospia (2013) e I bambini di Escher (2017). Attualmente sogna di rifugiarsi in un eremo in alta montagna.
