Quando si ha a che fare con la cinematografia del calibro di Roberto Rossellini bisogna valutare aspetti che ad un profano in materia potrebbero sfuggire. Poiché il suo cinema è un caleidoscopio di significati, messaggi, insegnamenti che inducono lo spettatore ad un’attenzione ed abnegazione così particolare che in un altro tipo di approccio filmico ( il cinema cosiddetto “leggero”) non sarebbe in alcun modo necessario se consideriamo appunto la scarsa qualità tecnica-emotiva della visione che gli si prospetta.
Il materiale della cellulosa del regista romano rispecchia un modo di intendere la settima arte come viatico per studiare la realtà. Nei suoi numerosi capolavori abbiamo riscontrato questa sua certosina originalità che si manifestava in termini non solo estetici (cinematograficamente parlando) ma anche pratici. Durante le tribolanti fasi del sommo “Roma città aperta”, la sua troupe, con la capitale occupata dai nazisti ancora in preda ai bombardamenti degli Alleati, andò alla ricerca della pellicola da filmare che poi fu faticosamente assemblata con espedienti di fortuna. D’altronde cosa non si fa quando si persegue un obiettivo da raggiungere. Nel suo caso fu la gloria., entrando di diritto nella leggenda del cinema. La scena da brividi di Anna Magnani che corre chiamando a gran voce il marito prelevato dai tedeschi e caricato sul camion indirizzato al campo di concentramento per poi essere barbaramente uccisa non può non destare nei nostri occhi emozioni e commozione. La novità del suo ideale cinematografico sta nel mostrare una sensibilità non forzata (come spesso accade in molti film che cercano la lacrima facile) ma che attinge a piene mani dalla quotidianità più semplice, banale e che può apparire apparentemente scontata.
Il Rossellini, regista poliedrico, ha saputo spaziare in numerosi campi. Ebbe una primissima parte della sua carriera dove tentò l’approccio con un genere che avrebbe fatto la sua fortuna: il documentario. Infatti dopo i primi esperimenti attraverso il cortometraggio che avevano come tematica anche argomenti di tipo naturalistico, si cimentò nel periodo cosiddetto “di regime”. Di quegli anni sono infatti i primi lungometraggi “La nave va”, “L’uomo sulla croce” e “Il pilota ritorna”. Anche se inseriti in un contesto storico di assoluta demagogia, questa trilogia mostra i primi segni di quelli che saranno le linee guida del suo cinema: l’analisi dell’uomo con se stesso, le sue problematiche quotidiane e le sue paure. Molti gli hanno rimproverato di non aver avuto una presa di posizione critica nei confronti del Fascismo. Errato. Fedele al suo ideale, rifuggiva da considerazioni e appartenenze politiche per dare risalto, invece, alla cinepresa che appariva come l’occhio che non mentiva e che mostrava senza veli la realtà che gli si poneva dinanzi. In questo è stato un vero rivoluzionario perché mentre altri registi davano una loro personale interpretazione di essa, lui cercava di riprodurla nella maniera più fedele possibile non ricorrendo mai ad una sua alterazione.
Al periodo appena successivo la seconda guerra mondiale ( in verità anche durante ) fanno parte i suoi capolavori più celebri: “Roma città aperta”, “Paisà” e “Germania anno zero”. Si raccontano storie di una durezza indicibile, casi umani di notevole difficoltà. Le macerie morali e spirituali del conflitto fanno da cornice a questa perdita totale dei valori umani che diventano vuoti e insignificanti. La storia del bambino di “Germania anno zero” che si conclude con il suo suicidio è la chiara rappresentazione di un’umanità allo sbando che troverà la via della ripresa molto faticosamente e non senza atti di grande drammaticità e perdizione. Con la progressiva ripresa economica e sociale dell’Europa distrutta dalla macerie e dalla fame le tematiche dei suoi film cambiano irrimediabilmente dirigendosi verso l’analisi introspettiva e psicologica dei suoi personaggi. In “Viaggio in Italia” con la moglie Ingrid Bergman, vediamo la crisi di una coppia sposata di mezza età che si ricongiunge attraverso un percorso di indagine interiore che porta ad una comprensione di noi stessi e delle persone con cui ci si relaziona. Le visite guidate attraverso le bellezze artistiche e storiche del nostro paese portano la protagonista a capire la vera entità del suo amore per il consorte raggiungendo il climax nella scena al museo di Capodimonte. Gli occhi impauriti e segnati dal Destino delle statue di Pompei che ha modo di ammirare la portano ad un profondo contatto interiore e ad una perdita delle inibizioni borghesi subendo il fascino di qualche cosa di oscuro, di non definito che trascende le convenzioni della nostra esistenza. A tal punto che le emozioni prendono sopravvento e tutto ciò che risulta normale e controllato nella nostra vita, d’un tratto, appare senza senso. Consiglio vivamente ai nostri lettori di vedere questa pellicola anche perché è di grande attualità se consideriamo il proliferare, nei nostri tempi, delle separazioni e di storie d’amore che finiscono. Basterebbe, invece, lasciarsi contagiare dal libero sfogo di noi stessi e sentire ciò che la nostra anima ha da dirci. Rossellini ebbe modo di capire queste dinamiche e le tradusse cinematograficamente con una onestà intellettuale di grande fascino e impatto.
Verso la fine della carriera diede vita ad un tipo di cinema definito didattico che produsse risultati veramente degni di nota. Tra quelli da citare con attenzione “La presa del potere di Luigi XIV”, “Cartesio”, “Socrate”, “Blaise Pascal” e gli episodi de “Gli atti degli apostoli”. Storie insomma che hanno come modello personaggi che hanno modificato nel corso dei secoli il pensiero filosofico, religioso e sociale dell’uomo. La funzione didattica della sua opera ancora oggi raccoglie proseliti a favore di un discorso intellettuale che vuol far emergere il lato educativo. In questo non si può non apprezzare ciò che si era prefisso. Un’umanità che si dirige verso il sapere e che si allontana dall’ignoranza è un’umanità migliore e che ha modo di riflettere, di crescere e sviluppare un modo di pensare civili e indipendente. Molti non vogliono questo perché si corre il rischio di non influenzare più le masse in termini negativi. Roberto Rossellini, conscio di questo pericolo, ha dato il suo importantissimo contributo riuscendo ad entrare nel cuore delle persone non con banali forzature ma attraverso la semplicità delle sue immagini, riproduzioni realiste e fedeli della nostra vita.