Lo scorso venerdì il Consiglio dei Ministri del governo Renzi ha varato la riforma della Pubblica Amministrazione, ulteriore caposaldo del programma che dovrebbe attuare la “rivoluzione renziana”. Soddisfatto il premier che a sorpresa, la sera stessa del 13 giugno, ha voluto presentare personalmente e a grandi linee la riforma in conferenza stampa, in attesa di un’illustrazione dettagliata del Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione Marianna Madia. L’obiettivo è duplice. Riorganizzare, da un lato, i rapporti dei cittadini con la PA, rinnovare e ringiovanire, dall’altro, il settore dei dipendenti statali, iniziando dai dirigenti.
In Consiglio dei Ministri si è deciso di intervenire anche sul fisco, con l’avvio dell’esame del decreto legislativo sulla semplificazione fiscale che prevede la dichiarazione precompilata, operativa dal 2015. Per garantire, poi, un risparmio alle imprese è stato ridotto del 50% il diritto camerale, ossia il pagamento dei diritti annuali che le imprese versano alla Camera di Commercio. Risparmieranno anche le piccole e medie imprese, con una riduzione del 10% sulle bollette. Renzi ha anche annunciato di aver ottenuto il consenso della conferenza Stato-Regioni per una maggior semplificazione amministrativa. Tutti i Comuni italiani, infatti, avranno un unico modulo per la Segnalazione certificata di inizio attività (Scia) e per il permesso di costruire.
Un ulteriore importante provvedimento riguarda il ricambio inter-generazionale, col quale si prevede la modifica del trattenimento in servizio, allo scopo di creare 15mila posti nella PA in favore dei giovani. Le amministrazioni pubbliche potranno mandare in pensione anticipata, pur non avendo ancora l’età per la pensione di vecchiaia, i lavoratori con i requisiti richiesti, ossia 42 anni e 6 mesi di servizio per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne nel 2014. Per quanto riguarda la mobilità dei dipendenti pubblici, questi potranno essere trasferiti senza il loro assenso all’interno dello stesso Comune e, nel raggio di 50 chilometri, in qualsiasi ufficio pubblico con necessità di maggior personale.
Al fine di contrastare poi la corruzione nella PA, il governo ha affidato maggiori poteri, soprattutto sanzionatori, all’ ANAC (Autorità Nazionale AntiCorruzione) guidata da Raffaele Cantone e alla quale Renzi ha garantito la concessione delle risorse umane, finanziarie e strumentali indispensabili per lo svolgimento delle sue fondamentali funzioni. Conseguenza di ciò, è la soppressione dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici e del passaggio, proprio delle funzioni di controllo sui contratti, all’AntiCorruzione.
L’impegno del governo dovrà essere ora quello di far approvare queste proposte dal Parlamento, al quale il premier ha ovviamente riconosciuto il ruolo sovrano nell’attuazione delle riforme, auspicandosi però di non incappare negli ostacoli che hanno già ritardato in questi mesi alcuni provvedimenti. Considerando poi che i sindacati hanno giudicato negativamente la riforma, dobbiamo aspettarci settimane di forte ed acceso dibattito politico. Gli aspetti positivi di questa riforma possono essere rintracciati certamente nel tentativo di operare con trasparenza mirando alla semplificazione e alla diminuzione della corruzione. Rimangono, tuttavia, alcuni dubbi circa la poca innovazione e l’efficacia di questa riforma, rispetto a come era stato annunciato l’obiettivo di sburocratizzare l’elefantiaca Pubblica Amministrazione italiana.