Dopo aver dedicato un articolo al compito che la commedia greca ha avuto nel corso dei secoli a venire, rivolgiamo l’attenzione sul perchè e sul come le istituzioni delle polis greche assumessero un ruolo di indiscussa importanza in termini infrastrutturali che organizzativi. Oggi viene da ridere se pensiamo a ciò che accade in Italia in ambito culturale. Tagli a dismisura che penalizzano un settore che da sempre nella storia ha avuto un primato di leadership nel confermare una rappresentanza di livello di un certo rilievo. Fatto sta, che circa duemilacinquecento anni fa lo Stato delle polis puntava tutte le energie nel privilegiare questo tipo di comunicazione che era il più efficace per mostrare la vita quotidiana nella sua concentrazione di significati. La vasta gamma di sentimenti , spunti, riflessioni erano alla base di questo modo di intendere la vita civile che vedeva attraverso lo strumento della “skene” (la scena) la sua traduzione. Ed è proprio in questo contesto che avvenivano le feste religiose organizzate per lo più nella città di Atene e che prendevano il nome di “Grandi Dionisie” (o “Cittadine”, per differenziarle dalle “Dionisie rurali” che avvenivano in inverno e in contesti prevalentemente più bucolici).
L’intera organizzazione ruotava intorno alla figura dell’Arconte (una sorta di moderno Direttore artistico). Al’interno della manifestazione c’era spazio anche per altre discipline artistiche, tra cui la poesia con, principalmente, la composizione di ditirambi. Maggior spazio, chiaramente, era riservato agli autori di commedie e tragedie. Vi erano un massimo di tre partecipanti ognuno dei quali presentava il meglio del repertorio consistente in due tragedie e un dramma satiresco (si dava preferenza al genere tragico, la commedia avrebbe acquisito valore successivamente). La selezione degli aventi diritto era compito dell’arconte al quale dovevano essere presentate le opere. Dopodichè una giuria di dieci persone (ognuna delle quali era il riferimento, il “mastro” delle tribù dell città di Atene) conferiva la vittoria ad uno dei partecipanti. Di queste dieci preferenze solo la metà erano considerati validi (non si conosce il perché di questa prassi). In ogni caso, al vincitore veniva posta una corona d’edera dall’arconte. Vorrei fare una piccola considerazione personale: immaginate solo per un attimo di chiudere gli occhi e far scorrere nella vostra mente ciò che vi ho appena scritto nella immaginifica realtà teatrale della Grecia di Pericle di 2500 anni fa. Non è fantastico? Ritornando a noi, un ruolo importante era riservato al Coro. La spesa per poterne disporre era premura del “Khoregos” (il corego), cittadino ateniese più facoltoso. Dimostrare questo suo interesse gli garantiva un notevole prestigio personale e sociale , specie in caso di vincita del Coro da lui finanziato. Discorso diverso per gli attori che erano “a busta paga” dello Stato. Invece non si può dire che esistesse già l’idea di regia, poiché spesso, i commediografi stessi assumevano la direzione dei loro spettacoli, provvedendo tra l’altro a colmare altre lacune, come la scenografia e le pantomime, anche grazie all’aiuto del “Khorodidaskalos” (istruttore del Coro). Nel prossimo articolo discuteremo della struttura teatrale nel senso letterale del termine, come era fatta l’orchestra, le entrate laterali, le “eisodoi” (le nostre quinte), e le sopraelevate che creavano movimenti di persone e cose in modo davvero originale e che sarebbero state riprese anche nei secoli successivi. Insomma sarà un viaggio che ci porterà ad un’ulteriore conoscenza del magico teatro Greco. Alla prossima.