Quante volte l’abbiamo sentita questa frase, che ha il sapore di antico, romantico e insieme desueto: “La donna non si tocca, neppure con un fiore”. Con un fiore no, ma con: Pugni, calci, spranghe, acido, coltelli, pistole, parole crudeli e taglienti, sì. La piaga dei femminicidi continua a popolare le cronache in Italia come nel resto di Europa, del Mondo; nel 2021 la media è stata di uno ogni due giorni. Se a questi crimini sommiamo le vittime di vessazione psicologica, di stalking, di violenza che non necessariamente culmina nel decesso e le vittime di soprusi mai denunciati, i numeri diventano da bollettino di guerra. Sovente i mostri sono dentro le mura domestiche, hanno le chiavi di casa: Mariti, padri, fratelli, compagni. La propria abitazione diventa per tante donne una trappola, intimo teatro dell’orrore fatto di botte, lividi, sangue e lacrime. Uomini, omuncoli, che picchiano, stuprano, ammazzano, considerano la donna come un oggetto di esclusiva proprietà; priva di autonomia, che deve piegarsi alla volontà del maschio padrone.Per quanto se ne possa dire, ancora oggi, il pensiero patriarcale è profondamente radicato nel tessuto sociale ed è per tale ragione che la violenza sulle donne non si configura come “emergenza”, ma come piaga culturale consolidata e difficile da estirpare. A confermarlo sono i dati: Secondo quanto rilevato dall’Istat le chiamate al 1522, numero di pubblica utilità contro la violenza sulle donne e lo stalking, sono aumentate del 79,5% nel corso del 2020, complice la pandemia che ha costretto a casa gli orchi. La pandemia nella pandemia.Poi c’è tutta una realtà, quella sommersa, non denunciata, che vede accrescere ancor più numeri già di per sé allarmanti. Chiedere aiuto, è il primo passo per uscire dall’inferno. Ma una donna che denuncia è una donna che deve ripartire da zero, da sotto zero. E’ per questo che diventa indispensabile che intorno a lei si stringa una rete di solidarietà e supporto fatta di istituzioni, associazioni, collettività.Una donna che denuncia deve fare i conti con la paura, con l’opinione pubblica, con la famiglia, con il proprio aguzzino; talvolta con i figli, con la mancanza di lavoro, di un posto dove stare.Se ne parla di violenza sulle donne, ma non a sufficienza; vengono offerti aiuti, ma non abbastanza. Una formazione, un lavoro, una dimora, la dignità, la possibilità di iniziare daccapo. Poche cose, ma non da poco, concrete e imprescindibili per ripartire. Ci si perde, invece, il più delle volte in estenuanti ed irritanti dibattiti in cui pare si voglia a tutti i costi, goffamente e meschinamente, fornire un’ alibi che, in qualche modo, vada ad alleggerire le colpe degli unici veri colpevoli. Le violenze, così, vengono sistematicamente giustificate da una parte dell’opinione pubblica; sminuite da certa stampa, legittimate da qualche legislatore. La donna non è mai considerata vittima al cento per cento, senza “se” e senza “ma”. “Aveva la gonna troppo corta”, “si è ribellata”, “ha cucinato male”; “ha dato confidenza al collega”, “si è troppo lasciata andare con ragazzo in discoteca”; “è rientrata a notte fonda”, “si è truccata in modo provocante”, c’è sempre un “perché” che sottende che, infondo, un po’ se l’è cercata..Fintanto che la donna verrà presentata, anche da una buona fetta della classe politica retrograde e sessista, come “l’angelo del focolare”, fin quando il tetto di cristallo le impedirà di raggiungere ruoli di comando negli ambiti lavorativi; finché verrà schernita con battutine denigranti e volgari sul suo aspetto fisico, sottovalutata, emarginata, rilegata alla vita domestica e familiare; considerata meno rispetto all’uomo; quella che “deve stare al suo posto – (quale?) – perché donna”, il muro dell’ignoranza non potrà essere abbattuto. Alle nuove generazioni va insegnato che nella diversità c’è uguaglianza; che non esiste “migliore” o “peggiore”; non c’è essere umano “superiore” ed essere umano “sottomesso”; va trasmesso che la violenza è il linguaggio di chi non ha intelligenza, che la specificità di ciascuno è fonte di ricchezza collettiva. Ai ragazzi va insegnato il rispetto per l’altro da sé, è già un buon passo. Alle ragazze va insegnato a battere i pugni, a dire “no”, ad essere ribelli, a brillare di luce propria; a non aspettare che ci sia un uomo nella loro vita per sentirsi realizzate; a non tacere di fronte ad una offesa che provenga essa dal maestro, dal fidanzato, compagno, marito, capo, collega o qualsivoglia omiciattolo; a non restare imprigionate in un ruolo che la società vuole imporgli: Quello di madre, moglie, addetta alle faccende domestiche. Alle bambine va detto di anteporre la propria felicità e la salvaguardia di se stesse a qualsiasi cosa o persona al mondo. Va loro insegnato a volersi bene, a non soccombere, a chiedere aiuto. Dite alle vostre figlie, sorelle, nipoti che se indossano una gonna corta o una scollatura profonda, non stanno accettando di essere stuprate; se entrano in confidenza con un estraneo, non significa che lo stanno invitando ad una notte di sesso. Dite loro che chi le ama le accarezza, non le picchia; che se subiscono una violenza, di qualsiasi genere, no, non se la sono cercata, la colpa non è loro.
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