Napoli. Un trionfo per la tappa napoletana del “Circo degli Orrori”. Sarà alla Mostra d’Oltremare fino al 14 dicembre. “Uno spettacolo da non perdere”

10711394_10152365912505741_1853673927_n(Antonio Boccelino) “Papà, papà a Napoli c’è un circo che fa paura e allo stesso tempo è divertente. Ci andiamo sabato sera?” La domanda di mia figlia, 10 anni, era ineludibile. E confesso di aver esitato non poco prima di andare a vedere questo show.  Ragionavo tra me e me: io che non amo neppure i thriller;  io che quando ero piccolo al primo rumore notturno andavo nel letto dei miei genitori; io che a quarant’anni, suonati da un pezzo, ho ancora paura di dormire da solo;  io che, seppure maldestramente, ma sono un cattolico praticante e mi sforzo (non dico che ci riesco), “di passare per la porta stretta”,  ma che c’entro con questo spettacolo?

E, mentre mi dicevo questo, avevo trovato un compromesso, con me stesso e le legittime istanze dei miei familiari, molto più assertivi di me, che mi chiedevano di andare a vedere lo spettacolo. L’accordo era, vi accompagno, e io me ne sto fuori non entro.

La decisione, poi, era diventata la certezza appena varcata la soglia il piazzale del Circo quando avevo sentito le ‘campane a morto’. Ho pensato bene, dicevo a me stesso, e me ne rallegro. Prendo i biglietti e accompagno loro all’ingresso. Ma mia figlia mi spiazza: “papà devi venire pure tu, altrimenti non entro”.

L’imperativo categorico fa crollare tutta l’analisi cartesiana. E la ragione cede il passo al sentimenti.

E sia. Entro, a malincuore; e mi sforzo di pensare ai fatti miei: mi collego al telefonino, e cerco di mandare qualche email, scrivo a mio figlio. Ma vengo interrotto da una bella hostess, che con garbo e con un sorriso, mi dice: “signore i telefonini bisogna spegnerli, danno fastidio agli attori”. E’ veramente la fine, mi dico. Mi devo “sciroppare” due ore di supplizio, di macabro, di orrendo. E, invece! Ho dovuto ricredermi, perché la paura cede subito il passo alle emozioni e al divertimento con un crescendo di suspence che, alla fine di ogni gag, fa desiderare di vedere il successivo.

La trama. Guardo il palcoscenico e vedo un antico cimitero: uno scenario perfettamente horror, che già l’atrio ne pronosticava il setting; all’entrata del cancello c’è  un tizio che scende da un treno e arriva nello stage: statue di pietra, corone di fiori e lapidi, ululati e urla fanno angosciare questo signore e danno inizio alla sua fuga da una galleria di orribili personaggi che prendono spunto dalle pellicole cinematografiche: da Murnau (Nosferatu) a Browning (Freaks), da Friedkin (L’esorcista) a Polanski (Per favore non mordermi sul collo).

Si avvicendano nel proscenio, personaggi come la bambina dell’esorcista, la suora macellaia, le anime perdute, il pagliaccio assassino, una sorta di clown malefico che adora far soffrire le sue vittime, ma «in maniera divertente». Non manca la bomba sexy (Debora,la vampira) e colonne sonore raggelanti, scene e costumi grandiosi come si conviene.

Il tutto intervallato da sketch comici e attrazioni mozzafiato originalissime: come quella dell’acrobata che, sollevata solo per i capelli da una corda fissata al centro del tendone (che brividi!),  gira sospesa per aria e fa una serie infinite di giravolte su sé stessa sull’asse del palcoscenico; come l’attore che ruota all’interno di un pendolo; per non parlare delle gag che il protagonista Suso Clown (al secolo Jesús Silva González, la mente dello spettacolo)   inscena con approccio dialogico, ossia chiedendo la partecipazione di persone tra il pubblico che si improvvisano attori suscitando grande ilarità e grandi risate tra il pubblico. In sintesi un tripudio di emozioni mozzafiato da non perdere.


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