Il Giornale di Casoria incontra Luisa Bossa, parlamentare del Partito Democratico, attiva nel volontariato sociale, ha militato nel Movimento per la Pace e nel Movimento Internazionale per la Riconciliazione. sindaco di Ercolano dal 1995 al 2005. Consigliere Regionale della Campania dall’aprile 2005, Presidente della VI Commissione Regionale Permanente: Istruzione e Cultura, Politica Sociale, Attività per il Tempo Libero. Alle elezioni politiche dell’aprile 2008 è stata eletta alla Camera dei Deputati per il Partito Democratico. Componente della commissione Affari Sociali.
Onorevole iniziamo col chiederle qual è la differenza che percepisce nella sua attività da ex sindaco di Ercolano rispetto alla carica da parlamentare?
Devo confessare che la differenza è enorme. Ne ho parlato anche con altri colleghi che sono stati sindaci. Chi ha fatto il primo cittadino capisce subito cosa intendo: quella è una esperienza politica assoluta e profonda. Significa svegliarsi sui problemi reali, e andare a dormire sui problemi reale. La vita della gente entra nella tua, senza tregua. Fare il sindaco significa prendere una decisione su cui si misura subito l’esistenza degli altri; una decisione che produce effetti immediati. Un sindaco non ha il tempo per studiare, riflettere, capire, ponderare. Deve intervenire. Io ho imparato da quella trincea, la politica. E dopo tutto mi è sembrato diverso. Lento, dispendioso, non all’altezza di quella esperienza.
Quale atto su cui ha lavorato, le ha dato maggior soddisfazione?
In Parlamento mi sono dedicata molto a temi che a me sono cari. Innanzitutto tre: scuola, legalità e pace. Sulla scuola, ho portato la mia esperienza da insegnante e la mia vocazione a considerare la scuola un elemento fondamentale della battaglia sociale. Il lavoro è costante, in commissione, sui temi che arrivano dai territori. Sulla legalità, sono impegnata in commissione antimafia e mi spendo con convinzione sulla necessità di condurre la commissione sui luoghi, ad incontrare persone. Qualcuno dice che si tratta di passerelle. Capisco la critica. Ma io voglio che ci andiamo per ascoltare e vedere. La politica si fa tra la gente, non nei Palazzi. Sui temi della pace ho un lungo vissuto personale, e ho cercato di tradurlo con atti parlamentari che puntassero l’attenzione su cooperazione, solidarietà, costruzione di ponti del dialogo.
Cosa si aspetta dal governo attuale, in termini di crescita sociale, produttività e innovazione culturale?
Sono fiduciosa ma non mi nascondo la difficoltà. E’ un governo attraversato da una grande voglia di fare, con molti giovani e molte competenze. Bisogna dargli fiducia e sostenerlo. Ritengo che l’impegno maggiore debba andare nella direzione della lotta alla disuguaglianza sociale, e alla enorme sofferenza che c’è nelle famiglie. Mi aspetto che il governo crei le condizioni per rilanciare investimenti e lavoro. Le idee ci sono, ci vuole solo maggiore concretezza.
Nella sua attività, è noto il suo impegno sociale per la promulgazione della legalità: quanto c’è ancora da lavorare per ottenere delle risposte concrete e funzionali adatte a creare le condizioni di “sicurezza sociale”?
Il tema della legalità ha un legame profondo con quell’economia, più di quanto noi stessi possiamo immaginare. Ce l’ha sia rispetto al rilancio degli investimenti, perché la sicurezza è un elemento fondamentale del recupero di fiducia degli imprenditori; ma ce l’ha anche perché dove c’è lavoro e sviluppo, ci sono argomenti più solidi per togliere energia e benzina alle fabbriche del crimine. Bisogna creare un circuito virtuoso. Quanto siamo lontani? Credo che, in alcune zone del Paese, soprattutto nel nostro Sud, ci sia ancora molto da lavorare. Ma molto dipende da noi. La legalità è innanzitutto una cultura di comunità. Dobbiamo capire che solo rispettando regole condivise possiamo costruire una civiltà.
Se adesso dovesse rivolgersi ai giovani, quale messaggio si sentirebbe di dare a tanti ragazzi che spesso si sentono illusi e demotivati da uno stato carente, soprattutto per ciò che riguarda l’occupazione?
Ho tre figli. Uno vive in Giordania, uno a Firenze, una a Modena. Sono dovuti tutti andare via dal Sud. A loro ho detto sempre di combattere con dignità e umiltà. Dignità e umiltà sono i miei due punti cardinali. Bisogna avere la testa bassa dell’umiltà e il petto in fuori della dignità. Le opportunità, oggi, sono poche, la sfiducia è alta. Ma la vita è quella che ci è data in quel preciso momento. Dobbiamo prenderla in mano e portarla avanti. Tocca a ciascuno di noi. Questo dico ai ragazzi: camminate, non fermatevi.