Luis Bunuel: l’antropologia della provocazione.

paradoxes-de-bunuel-04-gPochi registi nel corso della recente storia di questa arte hanno saputo dare un’interpretazione di essa come viatico per dare spunto a riflessioni di natura prettamente sociologica come ha fatto il regista e sceneggiatore spagnolo Luis Bunuel. L’irriverenza dei suoi lungometraggi determinano nello spettatore una reazione che può assumere tanti significati. Prima fra tutti quella di maturare durante la loro visione una coscienza così netta, precisa che non lascia spazio ad alcun ombra di dubbio. La perfetta e quasi mefistofelica costruzione delle assurde tematiche e regole della borghesia viene messa in risalto in tutta la sua stupefacente crudezza e ambiguità.  Sin dagli esordi surrealisti di “Un chien Andalou”  rivela uno spirito anarcoide in cui si riscontra in modo irrimediabile ed immediato  la sua ribellione contro ogni forma di istituzione. Lo è anche e soprattutto nella sintassi della immagine cinematografica dove l’uso della metafora visiva si presta a questo suo personalissimo modo di intendere la settima arte. La scena dell’occhio tagliato è una sequenza di grande impatto che invita il pubblico a guardare il mondo che ci circonda con occhi e modalità diverse. Figlio naturale del Surrealismo ( di cui fu per lungo tempo un convintissimo sostenitore ), Bunuel ricorre quasi sempre all’ausilio onirico per ribadire con fermezza la sua immagine soggettiva della realtà non filtrata e condizionata attraverso le incomprensibili regole dell’uomo. La pellicola successiva “L’age d’or ” trova il modo di affinare ulteriormente le sue riflessioni scagliandosi inesorabilmente anche contro la religione. Ciò gli creò non pochi problemi personali che si concretizzarono  in una serie di denunce per ateismo ( all’epoca era reato! ) e in un allontanamento per un periodo in Messico dove comunque per sua fortuna ebbe modo di continuare il suo lavoro dandogli un’impronta di forte connotazione neorealista e legata ad argomenti che riguardavano le classi sociali più povere. Ritorna ad attaccare le sfere dell’alta borghesia con “El”, che narra le vicende di un ricco signore e della sua inutile e distruttiva gelosia.  Ma il film dove la tematica dell’ipocrisia borghese è portata alle estreme conseguenze è “L’angelo sterminatore” ( 1962 ) che inizia con una didascalia che avverte lo spettatore sul carattere volutamente enigmatico e incoerente della pellicola in quanto anche la vita di tutti i giorni lo è. Ritornando ai registri espressivi del Surrealismo, Bunuel costruisce un apologo di forte critica e sdegno nei confronti di questa classe sociale che si sofferma su riti quotidiani che non hanno alcun senso e non trovando quella linfa vitale che le permetterebbe  di rinnovarsi. L’instabilità della borghesia si manifesta attraverso le deviazioni sessuali e le ossessioni amorose e il feticismo in quanto la routine fa emergere i lati peggiori dell’essere umano che va alla ricerca inconscia di ricercate trasgressioni che probabilmente in  contesti di serenità ed appagamento non ricercherebbe.  Nel suo maggiore capolavoro “Il fascino discreto delle borghesia” Bunuel usa, non a caso, l’espediente gastronomico ( un continuo pranzo mai portato a termine) come allegoria del disfacimento totale dei valori. Ma è in una sequenza specifica che questo film diventa di diritto il vero manifesto  dell’antiborghesia. I protagonisti passeggiano su una strada piana e deserta e appaiono per quello che realmente sono: inetti, inutili senza una meta e dove il cammino è cosi monotono da apparire davvero inutile. Scrivere di questo immenso regista in un singolo articolo è impresa assai ardua in quanto le concezioni dell’esistenza che si riversano nei suoi lungometraggi sono estremamente varie e complessi. Ma suscitare in voi lettori un iniziale interesse nei suoi confronti vi permetterebbe di conoscere un lato di voi stessi che probabilmente non conoscete o, forse per convenienza, evitate di conoscere. Ma chi ha il coraggio di farlo si assicurerà una visione della vita senza veli e senza quelle ipocrite forzature  che vediamo quotidianamente nelle nostre azioni.


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