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L’Amazzonia brucia: la situazione attuale.

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Alberi bruciati nella regione di Vila Nova Samuel, vicino a Porto Velho, nello stato di Rondonia, il 25 agosto 2019 (AP Photo/Eraldo Peres)

Brucia il polmone verde del mondo, e la situazione sta assumendo sempre più i contorni del dramma ambientale.

La vicenda richiede, comunque, delle considerazioni ed il primo punto da chiarire è che non si tratta di un unico mega incendio ma di centinaia di focolai che scoppiano quotidianamente su un’area immensa, suddivisa tra Brasile, Venezuela e Bolivia; il fronte degli incendi più cospicuo si estende, infatti, per oltre cento chilometri.

Il Paese più colpito dai roghi è il Brasile, dove si stima che solo nel corso del 2019 siano stati più di 40mila gli incendi che hanno devastato un’area enorme, al ritmo di circa 20mila mq al giorno.

Una striscia di fuoco per arginare la quale si è fatto, ad oggi, poco o nulla; solo da qualche giorno, stando a quanto affermato dal Presidente francese Macron, i paesi del G7 hanno raggiunto un accordo sul tipo di intervento da approntare, iniziando da uno stanziamento di circa 20mln di Euro.

Dal canto suo, il presidente brasiliano Bolsonaro, accusa le ong ambientaliste di complottare contro il suo paese e di aver causato gli incendi di proposito, mentre sul piano operativo pare intenzionato a schierare l’esercito; i suoi detrattori accusano, invece, proprio Bolsonaro di essere la causa diretta o indiretta dei roghi.

Sembra, infatti, che gli agricoltori del Brasile siano stati incoraggiati a riprendere l’opera di disboscamento selvaggio, vista la contrazione delle misure preventive e le sanzioni comminate alle società impegnate nella deforestazione illegale.

E’ risaputo che ogni anno gli agricoltori cercano nuove aree da destinare al pascolo del bestiame, sebbene tale indiscriminata politica di disboscamento e deforestazione crei spazi che solo in minima parte verranno effettivamente utilizzati.

C’è, però, una buona notizia: secondo la Nasa, i dati raccolti indicherebbero che solo il Brasile sta facendo registrare un picco medio di incendi superiore alla norma, mentre nel resto dell’area amazzonica i dati sulle aree coinvolte mostrerebbero che si è ancora sotto la soglia media annuale. Una magra consolazione, ma pur sempre un punto di partenza a patto di intervenire subito, sia in modo contingente che preventivo.

Occorre che tutti i Paesi cooperino per trovare una soluzione immediata in grado di prevenire catastrofi del genere; se non si affronta il problema anche dal punto di vista economico, la situazione sarà destinata a peggiorare.

Storicamente, L’America Centrale e Meridionale sono state letteralmente colonizzate dalle industrie europee e nordamericane le quali hanno destinato enormi aree alle piantagioni di frutta, caffè e alberi della gomma; coltivazioni estensive che poco hanno contribuito al fabbisogno alimentare dei Paesi coinvolti, i quali ora reclamano il diritto ad attraversare gli stessi stadi di sviluppo economico delle nazioni più ricche.

Occorrerà fare i conti non questa realtà se si vorrà evitare un ulteriore fallimento ancor prima di raggiungere un accordo.