La riforma del Senato, si attende un nuovo vertice Renzi – Berlusconi.

berlusconi renziLa riforma del Senato della Repubblica e del bicameralismo, cara al governo Renzi, è tornata in queste ore all’ordine del giorno dei lavori parlamentari. L’attuale esecutivo sta cercando di puntare al “modello francese”, suscitando la contrarietà delle forze politiche all’opposizione, primariamente Forza Italia che lo ha definito “inaccettabile”. Cerchiamo di capire, quindi, come funziona, nei suoi aspetti essenziali, il Senato francese e quali conseguenze implicherebbe se fosse attuato anche nel nostro sistema istituzionale. In Francia, il Senato è composto da 348 senatori che sono eletti, a suffragio universale e indiretto, da uno specifico collegio elettorale, formato da delegati regionali e municipali in proporzione alla popolazione dei diversi territori interessati. Attualmente il mandato dei senatori francesi ha una durata di sei anni e, oltre al compito ordinario di votare le leggi, questi hanno tra le loro prerogative quella di deliberare sulla revisione costituzionale, nonché di rappresentare gli enti territoriali.
Il premier Renzi, dunque, ispirandosi al modello francese e soprattutto all’elezione indiretta dei senatori da parte dei rappresentanti di Regioni e Comuni, vorrebbe concludere la riforma del Senato entro la fine di questo mese, possibilmente con una larga maggioranza. Allo stesso tempo, però, non ha escluso la possibilità di arrivarci finanche col voto della sola maggioranza di governo. Ciò potrà essere chiaro, probabilmente, solo dopo un nuovo vertice tra Renzi e Berlusconi, un’ipotesi che si è andata profilando in queste ultime ore. FI vorrebbe la garanzia che a sedere nella futura assemblea ci siano anche esponenti del centrodestra, poiché attualmente il PD è al timone in molte amministrazioni locali. E’ la solita battaglia tra le varie forze politiche che cercano di imporre le proprie posizioni a difesa dei propri interessi. Ma quale tra esse si sta interessando del ruolo e delle prerogative dei cittadini in questa riforma? E’ fuori dubbio, e ormai da tempo, che l’obsoleto bicameralismo perfetto – voluto dai padri costituenti dopo il periodo fascista, come sistema a garanzia di un più sicuro funzionamento democratico dell’iter legislativo – necessita di una riforma storica atta a snellire lo stesso procedimento legislativo, dimezzando i tempi ed evitando, almeno in parte, gli ostacoli frapposti troppe volte e senza trasparenza dagli interessi corporativi. Tuttavia, quale sarebbe, a ben vedere, la principale conseguenza di una riforma del Senato come quella proposta dall’attuale governo? Che, prevedendo un’elezione indiretta ad appannaggio esclusivo degli enti regionali e comunali, i cittadini sarebbero totalmente esclusi dall’elezione dei nuovi componenti del Senato, costituendo un chiaro attacco alla democrazia e alla legittimazione popolare. Ciò equivarrebbe a fare della politica un fenomeno sempre più di “occupazione”, invitando implicitamente i cittadini a dedicarsi alla loro sfera privata e possibilmente ad essere passivi circa la vita politica. Non sarebbe, invero, molto più democratico lasciare decidere proprio ai cittadini, magari con un referendum, se abolire il Senato o trasformarlo con prerogative e composizione diverse da quelle attuali? Nel fare riforme di questa portata, infatti, bisognerebbe ispirarsi sempre e solo ai principi della partecipazione e legittimazione democratica, unici strumenti in grado di fornire ad ogni individuo il proprio diritto all’opinione e all’azione.


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