La commedia antica tra tradizione e modernità

galileo-scena-di-lisistrataComincia, con questo primo articolo, la rassegna culturale de “Il Giornale di Casoria” che si pone come obiettivo l’analisi del ruolo, sempre incalzante, che la cultura teatrale e cinematografica ha avuto nel corso dei secoli nei confronti della società e, nello specifico, del suo costume. Ruolo di indiscussa importanza che, sin dagli albori del teatro greco (argomento che tratteremo oggi) fino alle sperimentazioni avanguardistiche dei nostri tempi, ha avuto modo di delineare in noi i tratti del sapere e della crescita collettiva.

Oggi, nei nostri teatri, abbiamo modo di assistere a rappresentazioni di commedie (la tragedia avremo modo di approfondirla successivamente), soprattutto riadattamenti, di opere di derivazione greca e romana. Cosa assai complessa perché trasportare il senso, sociale, che la fiorente civiltà greca ha saputo imprimere ai suoi adepti è difficilmente trasportabile ai nostri giorni e ai nostri tempi. Secoli e secoli di indottrinamento ci hanno allontanato da quella che era alla base della loro concezione del quotidiano. Anche se l’era in cui viviamo è diretta discendente del classicismo greco-romano, bisogna, tuttavia, considerare elementi di natura storica che lo ribaltano totalmente. Ad esempio la concezione di vita. Con il proliferare della civiltà cristiana (per ragioni religiose e politiche) si è perso quello che era il capisaldo del loro modus pensandi: la vita come istinto dionisiaco.

Nella precarietà dell’esistenza, tribolata dall’incertezza e dalle frequenti guerre, assistiamo nella messinscena della “Lisistrata” di Aristofane ad un gruppo di combattenti donne che minacciano i proprio uomini di non “concedersi“ più se continueranno nei loro propositi bellici. Quindi il sesso come arma di ricatto, ma vitale. Un’opera che non sarebbe mai potuta essere rappresentata in epoca medioevale con l’Inquisizione alle calcagna. Ma la Chiesa sebbene ponesse questa e altre opere nell’Index dei libri proibiti era bene conscia del loro valore letterario ma, altresì, intimorita dal fatto che potessero assurgere a pericoloso modello in contrapposizione a quello costituito. Quindi gli istinti primordiali degli esseri umani, nelle commedie del teatro antico, sono al centro di questa concezione della vita improntata sul famoso detto del “carpe diem”.

Avevano anche una funzione sociale che non si discosta affatto da quella attuale. Se analizziamo le opere di Menandro (quelle che poi sarebbero state preso come assoluto modello da Plauto prima e in modo sicuramente più profondo da Terenzio) ci accorgeremo che coloro che hanno una maggiore dimestichezza e furbizia nella vita sono i servi che spesso e volentieri, come nel caso del “Misantropo” e lo “Scudo” aiutano i loro padroni a districare la matassa. Ciò a supporto della tesi che chi si trova in una condizione di esistenza di maggiore difficoltà ha modo di trovare modi, stratagemmi e situazioni comiche di maggiore rilievo.

Questo comportamento sta alla base non solo della commedia greca ma di quella romana e dei secoli futuri dove il “pauper” (il povero) si fa sberleffo del potente di turno. Lo vediamo anche nelle maschere della Commedia dell’arte (figlia diretta della Commedia antica). La famosa battuta del nostro Pulcinella: “Ho così tanta fame da avere la bocca arrugginita come le sciabole dei soldati spagnoli…” suona come inaccettabile ironia per i conquistatori che si trovavano nella condizione di vietare i suoi spettacoli. Aristotele nella sua “Poetica” affermava che la tragedia aveva come obiettivo la “catarsi” (la purificazione dell’essere umano in seguito ad eventi che ne avevano messo in discussione la moralità), mentre nella commedia il “ridicolo”, ovvero situazioni che danneggiavano, comicamente, il comportamento deplorevole di un personaggio.

La commedia greca è attualissima perché aldilà dell’intreccio, della trama e dei personaggi che ne fanno parte, rivendica l’amore e il senso di fratellanza che deve accomunare l’umanità per farle superare l’incombente fardello della tribolazione quotidiana. E il sorriso, non il volgare riso, aiuta parecchio a sollevare da questa condizione. “Perché c’è sempre qualcuno che si preoccupa di non farci ridere…” (Cit. Aristofane).


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