A seguito di una lunga trattativa, il Consiglio europeo – istituzione che definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali dell’Unione europea e che al tal fine riunisce i capi di Stato e di Governo dei Paesi membri è giunto, lo scorso venerdì, alla designazione di Jean Claude Juncker alla guida della Commissione europea. I voti favorevoli per il lussemburghese ex-Presidente dell’Eurogruppo, sono stati di 26 leader su 28. Contrari a tale scelta sia il premier britannico David Cameron sia quello ungherese Viktor Orban. Pertanto, spetta a Juncker presentare ora il proprio programma e provare ad incassare il voto favorevole della maggioranza del Parlamento europeo. In caso di esito negativo, bisognerà scegliere un nuovo candidato entro un mese. Con un esito positivo, invece, si procederà alla formazione della nuova Commissione europea, organo esecutivo che ha il compito di definire l’interesse generale dell’Unione europea. I Commissari saranno scelti tra i candidati presentati dai Paesi membri e sottoposti al voto degli europarlamentari e del Consiglio dei Ministri dell’Ue, a seguito di audizioni pubbliche sostenute singolarmente da ogni Commissario. Al termine di questa procedura, il Parlamento europeo voterà la Commissione nel suo insieme, probabilmente il prossimo 16 luglio. Questo meccanismo porta al cosiddetto fenomeno della politicizzazione della Commissione, espressione di una tendenza alla parlamentarizzazione degli assetti istituzionali dell’Unione. In effetti, il ruolo ed il peso politico del Parlamento europeo e il rafforzamento del legame fiduciario e di responsabilità dalla natura democratica con la Commissione, impegna politicamente ed in prima persona la figura del Presidente della Commissione.
Tuttavia, nonostante l’accordo raggiunto con larghissima maggioranza, i capi di Stato e di Governo hanno proposto le misure da seguire per il prosieguo del processo di integrazione europea. Matteo Renzi, in particolare, ha posto una forte condizionalità alla designazione di Juncker, ossia avere la certezza che le future politiche europee siano indirizzate alla crescita e alla flessibilità. Dopo un colloquio con la cancelliera Angela Merkel, Renzi ha sottolineato la vittoria della linea italiana, ossia che chi farà le riforme strutturali, capaci di rafforzare la crescita e la sostenibilità della finanza pubblica, potrà accedere a politiche basate su una maggiore flessibilità dei parametri del Patto di stabilità e crescita. Renzi ha comunque precisato che l’Italia non sforerà il limite del 3% nel rapporto tra deficit e PIL. L’obiettivo, dunque, è quello di continuare a rispettare i patti pur cercando contestualmente di far ripartire l’Italia. Il premier italiano ha annunciato, infatti, il countdown: mille giorni a partire dal primo settembre 2014 per il completamento delle riforme.
Eppure, quest’ottimismo sulla flessibilità in Europa pare eccessivo. Non c’è ancora nulla di concreto e il nodo su questo punto potrà essere sciolto solo dalla nuova Commissione, che inizierà i lavori il prossimo novembre. Occorre attendere il concretizzarsi delle prossime riforme, poiché rispetto alle politiche praticate finora e per iniziare una fase di vera e stabile ripresa ci si aspetta un ben altro passo.