L’inchiesta “Mafia Capitale”, che ha portato alla scoperta di una cupola mafiosa a Roma e al conseguente arresto di 37 persone (al momento) per reati come estorsione, corruzione, usura, riciclaggio e turbativa d’asta, ha sconvolto la città e il mondo politico romano e nazionale. Dall’inchiesta è emerso, infatti, che nella capitale agisce da anni un’associazione di stampo mafioso con una fitta rete di contatti e affari con imprenditori e dirigenti di aziende municipalizzate. L’obiettivo è quello solito: la conquista degli appalti pubblici.
Scontate le reazioni della politica nazionale. Tutti indignati, dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi alla Presidente della Camera Laura Boldrini che hanno chiesto di fare chiarezza nel più breve tempo possibile. A scivolare nel caos totale è il Pd romano. Proprio per questo, il premier ha deciso di commissariarlo, affidando l’incarico a Matteo Orfini, presidente del partito per rifondare e ricostruire su nuove basi il Pd di Roma. Pare strano, tuttavia, che il Presidente del Consiglio si accorga soltanto ora dei corrotti all’interno del suo partito. Possibile che fino ad oggi nessun segnale gli sia arrivato per far scattare il commissariamento?
In carcere, è vero, non ci sono ancora finiti politici ma le conseguenze dell’inchiesta giudiziaria coinvolge direttamente i partiti. Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, indagato per associazione a delinquere di stampo mafioso ha deciso, pertanto, di autosospendersi da qualsiasi incarico all’interno di Fratelli d’Italia, in attesa di un chiarimento circa la sua posizione. L’attuale sindaco di Roma Marino, invece, ha assicurato che nonostante ci siano state ripetute pressioni sulla sua amministrazione, quest’ultima ha comunque allontanato con forza chiunque avesse cercato di influenzarla.
Ad approfittarne subito, poi, il solito Movimento 5 Stelle che ha attaccato decisamente i politici di Roma e chiesto al Prefetto Pecoraro di sciogliere il Consiglio comunale della capitale per le chiare infiltrazioni mafiose. Per i grillini, infatti, anche se Marino non è coinvolto nelle indagini, dovrebbe comunque fare un passo indietro per non essersi accorto di nulla.
Tuttavia la questione principale è che in Italia la politica continua ad affidarsi a criminali ed ex terroristi per la gestione della cosa pubblica. I personaggi principalmente coinvolti sono due: Massimo Carminati, a capo di tutta l’organizzazione, e Salvatore Buzzi suo braccio destro. Il primo è un nome inevitabilmente legato agli anni ’70 del novecento, gli “anni di piombo” caratterizzati da terrorismo ed attentati. L’ex terrorista Carminati, in quest’organizzazione era abile a mantenere i rapporti con altri criminali, politici ed esponenti del mondo istituzionale e finanziario. Il secondo è stato condannato negli anni ‘80 per omicidio doloso, scarcerato nel 1991 e posto in libertà vigilata fino al luglio 1992. Aveva, poi, progettato svariate cooperative sociali per l’inserimento dei detenuti e delle persone socialmente svantaggiate nel mondo del lavoro, ricevendo centinaia di appalti dall’amministrazione romana per un guadagno di 34 milioni di euro. Nell’informativa dei carabinieri si può poi leggere come parte di questi soldi sia stata versata nelle casse della politica. Sono riportati i versamenti alle fondazioni di Alemanno, Marino, Bonino e altri politici. Ha ragione, pertanto, chi – come Roberto Saviano – sta in questi giorni affermando che Tangentopoli è stata solo “il punto di partenza di un’apocalisse politica e sociale definitiva”. Eppure già Niccolò Machiavelli un suggerimento per scongiurare queste catastrofi politiche lo aveva già dato nei secoli passati. Per evitare che il governo finisca nelle mani dei “tiranni” andrebbe affidato all’intera comunità di cittadini. Riletto nei nostri giorni, il consiglio del Machiavelli ci dice che soltanto se noi cittadini ci sveglieremo da questo “sonno civico” si potranno tenere sotto controllo gli interessi di chi fa politica per mestiere e non per “vocazione”.