Giancarlo Siani: 23/09/1985

Quella sera del 23 settembre del 1985, nella Citroen Mehari di Giancarlo Siani non è stato ucciso solo un giovane cronista, ma è morto anche un po’ di giornalismo e con esso è andato perso un pezzetto di libertà.

Sì, perché senza conoscenza non ci può essere libertà e l’informazione, quella libera, quella slegata da qualsiasi logica politica o ideologica, si occupa proprio di questo: informare.

Sembra banale ribadirlo, a maggior ragione in occasione di una commemorazione così importante: a trentatré anni dalla sua morte ancora si parla di quel ragazzo che non ha di certo avuto tempo ed occasioni per fare carriera nel mondo giornalistico.

Eppure le cose non stanno proprio così: di Giancarlo Siani si parla solo di riflesso e quasi mai l’afflato umano si accompagna al riconoscimento professionale.

Si intitolano strade, murales, si organizzano manifestazioni, convegni ma quello che resta è ancora l’alone di mistero che avvolge il suo assassinio: restano da scoprire mandanti, moventi, connivenze ed insabbiamenti .

Si sente forte la necessità di dare un riconoscimento all’importanza giornalistica delle inchieste condotte dal giovane redattore del Mattino.

Ciò non è accaduto: si pensava di aver fatto luce sulla vicenda, si credeva di aver assicurato mandanti ed esecutori alla giustizia; si affermò che Siani avesse svelato i retroscena dell’arresto del boss Valentino Gionta, tradito dal clan Nuvoletta che aveva pagato quel “prezzo” per stabilire una tregua con i Casalesi eppure, a distanza di oltre 30 anni, le indagini sono state riaperte e nuove rivelazioni sono state fatte da poco.

E’ il generale Gabriele Sensales, all’epoca dei fatti comandante della stazione dei carabinieri di Torre Annunziata, a parlare.

Sensales non ha del tutto smentito la ricostruzione dei fatti, ma ha aggiunto nuovi particolari che gettano forti sospetti sullo stretto legame tra istituzioni e camorra; dice di essere stato trasferito subito dopo aver rivelato ai magistrati la sua idea che il delitto fosse stato deciso proprio in quel di Torre Annunziata.

Dubbi, incertezze, insabbiamenti e una verità ancora lontana dall’essere affermata con forza: ecco ciò che ci resta di quella sera.

Si è scritto e detto molto su Giancarlo Siani e sarebbe superfluo aggiungere un po’ di retorica al fiume di parole già passato sotto gli occhi e le dita dei lettori; quello che possiamo fare per ripercorrere il suo esempio concretamente è di dire le cose come stanno.

Siani è stato ucciso dalla camorra e le ragioni non sono ancora del tutto note, e forse questo è dovuto al fatto che c’erano dei risvolti, dei particolari che non andavano rivelati; particolari forse impossibili da insabbiare, ma certamente da piazzare nell’ombra, lì dove è difficile vedere con chiarezza se non a patto di addentrarsi nel buio per guardare da vicino.

E’ in queste condizioni che la camorra colpisce più facilmente, quando ha isolato la sua vittima e l’ha resa vulnerabile; è questo che hanno fatto con Siani ed è certamente su questo che finora hanno contato per impedire che qualcun altro ne seguisse l’esempio.

Si sa: prima di addentrarsi nella penombra si fanno i conti: con le proprie paure, con l’incertezza e il timore che tutti ti voltino le spalle e ti lascino solo.

Siani non era un eroe nel senso cinematografico del termine: era un ragazzo come tanti ed aveva paura, ma non lasciò che quella paura ne limitasse il senso del dovere e la sete di giustizia e di verità.

Con la sua morte ha deposto un enorme contributo sull’altare dell’informazione e ha aperto la strada a tante altre persone: giornalisti, magistrati, politici, poliziotti e carabinieri i quali hanno provato a mettere un mattone nel muro della libertà e della democrazia.

In quella stanza buia dove sono nascoste tante verità, in molti hanno paura ad entrare; e poi ci sono alcuni che non hanno paura del buio e non temono le ombre. In quella stanza a volte ci entrano e anche a testa alta.

Giancarlo Siani era uno di loro…