Federico Fellini: il sogno nella realtà.

Federico-Fellini-2Si sono sprecate le lodi per omaggiare ed osannare il regista che più ha introdotto la tematica onirica nel nostro cinema. Abile vignettista satirico, ha avuto modo di collaborare con tante riviste che lo formano e  lo introducono nell’ambiente della Capitale plasmando progressivamente la sua concezione della scenografia imponente che troviamo nella maggior parte dei suoi film.  La gavetta continua nel mondo della radio dove incontra l’amore della vita, Giulietta Masina, che sposerà nell’ottobre del 1943, in pieno conflitto mondiale. E per concludere il suo iter, essendo anche un’ottima penna, collabora alla stesura della sceneggiatura di uno dei maggiori capolavori del Neorealismo, “Roma città aperta”, di Roberto Rossellini, il quale gli insegna  le tecniche cinematografiche e contribuendo a delineare la figura più importante e che rimane più impressa nel film, l’umile parroco Don Pietro, interpretato da un superbo Aldo Fabrizi. Il sodalizio con il regista romano è fruttuoso e prodigo di preziosi insegnamenti. Scrive il soggetto del “miracolo”, episodio de ”L’ amore “ e per il quale è attore. Ed è anche aiuto regista per il film di forte impronta cattolica “Francesco giullare di Dio”. Conclusa questa sorta di lungo praticantato nel mondo cinematografico , si cimenta egli stesso alla realizzazione del suo primo lungometraggio “ Luci del varietà “ ( 1950 ) co-diretto con Lattuada, storia di una tormentata  compagnia di avanspettacolo diretta dal capocomico Peppino de Filippo il quale si invaghisce di una giovane aspirante attrice che lo porterà ad un graduale quanto sofferto allontanamento dai  colleghi di una vita. Ma la prima vera prova si presenta  due anni più tardi con “Lo sceicco bianco” ( 1952 ) che consacra al grande pubblico l’astro nascente del cinema italiano, Alberto Sordi. Ambientato nella cornice del mondo artificioso dei fotoromanzi  un’ingenua sposina va alla ricerca del suo eroe-idolo constatando sulla sua pelle quanto sia diversa la realtà dalla fantasia di una storia da giornaletto scritta a tavolino.  Si comincia a delineare una critica di costume che con il tempo diventerà sempre più cinica e spietata facendo emergere il profondo lato ambiguo della nostra società alle prese con una  nevrotica voglia di emergere che non risparmia nessuno. Questo film mostra un’umanità alterata, cattiva, reale e ben lontana dalle atmosfere patinate e ingannatorie di una rappresentazione del mondo che è fittizia ed apparente.  Ma è con “I Vitelloni”  (1954 ) che Fellini si impone definitivamente all’attenzione generale. Se lo si guarda ancora oggi non possiamo non creare un forte punto di legame con la nostra società con specifico riferimento alla perdita dei valori della generazione giovanile. Sconcertante se pensiamo che è stato girato oltre 60 anni fa e di come ripresenta le stesse identiche problematiche dei giovani di oggi. Aleggia, in tutta la durata della pellicola,  un profondo senso di ansia unitamente ad una mancanza di fiducia nel futuro che porta i protagonisti a compiere azioni di vita segnata da una forte superficialità che evidenziano l’instabilità , la perdita di coscienza e una decisa disillusione nel futuro che appare incertissimo e imperscrutabile. Non vi sembra di veder scorrere, alla sua visione,  le stesse identiche dinamiche della nostra epoca?  Con il riconoscimento del Nastro d’argento, l’anno successivo gira “La strada” dove oltre all’elemento realistico aggiunge quello poetico creando una mistura di dolcezza, malinconia e di fantastica tenerezza che ruba il nostro sguardo dal primo fin all’ultimo fotogramma. Ritorna alle origini con “Il bidone “ (1955 ), ignorato da gran parte del pubblico e critica anche se personalmente lo considero bellissimo. Forse è presente qualche inverosomiglianza di troppo che lo rende, nelle forti intenzioni neorealiste, lontano da quello che si era prefisso. Da vedere in ogni caso. Ma il successo è solo rimandato con lo stupendo “Le notti di Cabiria” ( 1957 ) ove si narra la storia di una buona prostituta inserita in contesto quasi decadente e che valse alla Masina il premio come miglior attrice al festival di Cannes. Nel prossimo articolo discuteremo della seconda nonché migliore parte della carriera del regista riminese che riuscì ad inanellare una serie di eterni capolavori che sono rimasti all’apice non solo della cinematografia nostrana ma mondiale.


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