Procida è la più piccola delle tre isole del golfo di Napoli. Di origine vulcanica, stretta tra Monte di Procida e Ischia, è un’isola autentica, abitata da gente di mare, con ritmi scanditi dalla natura e dalle stagioni.
Nel 1830 i Borbone, la famiglia regnante di Napoli, trasformarono una antica residenza seicentesca dell’isola, Palazzo D’Avalos, in un carcere. A pensarci bene, tutte le piccole isole sono sempre state associate alle prigioni ed il concetto stesso di isola richiama quello di “isolamento”, ovvero posto su un’isola o anche separato dal resto (recte privazione della libertà). Il complesso sorge sul punto più alto dell’isola, in una zona detta “Terra Murata”.
Terra Murata è il primitivo nucleo abitativo in senso stretto di Procida ed il suo nome lo si deve forse al fatto che le case fossero addossate l’una all’altra, quasi a formare un muro solcato da strettissime viuzze. La ragione era strategica: si voleva impedire ai pirati saraceni di invadere facilmente il borgo, qualora fossero riusciti ad aprire la Porta. Le strette vie confondevano il nemico e rendevano più facile la difesa. Quest’isola è, infatti, stata nei secoli bersaglio di frequenti scorrerie anche da parte di famigerati pirati come “Barbarossa” o il Corsaro Dragut, che nel 1544 mise a ferro e fuoco l’Isola. Per questa ragione, la popolazione dalle campagne e dalla costa si arroccò sul colle, cercando di proteggersi.
Quando tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600 Procida divenne, insieme ad Ischia, feudo del Cardinale Innico D’Avalos, il borgo fu ulteriormente fortificato e fu costruito, sulla sommità, il Palazzo che fungeva anche da fortezza in caso di attacco dei pirati.
Dunque, sebbene nasca come palazzo gentilizio, il complesso presentò da subito la sua connotazione di presidio difensivo. Colpisce il fatto che da mare sia ben visibile ed abbia un aspetto austero ed imponente, mentre la facciata più lunga e articolata che guarda la marina della Corricella sia decisamente più sfumata e gentile.
Nel 1734 Carlo III di Borbone requisì per debiti il palazzo che finì definitivamente nel novero dei beni della Corona. Nel 1818 divenne una scuola militare e, pochi anni dopo, nel 1830, Ferdinando II lo trasformò in bagno penale. Il carcere ha funzionato fino al 1988, anno della sua definitiva chiusura.
Da allora, il complesso è rimasto per lo più abbandonato anche se, specie da quando è tornata ad essere tra i beni del comune, si sta cercando un recupero. Solo da poco tempo, con un permesso, è possibile visitare una piccola parte del grande e antico complesso carcerario.
Gran parte della struttura versa in condizioni piuttosto disastrate, specie le celle di massima sicurezza e di isolamento che sono allocate nella parte a strapiombo sul mare. Tuttavia, è un luogo dal fascino indiscusso perché non è stato vandalizzato e contiene all’interno moltissime testimonianze della dura vita del recluso nei secoli passati. Un raro esempio di carcere ottocentesco ben conservato, ma rispetto ad altri famosi, come quello di Santo Stefano, questo luogo parla…ed ha molto da raccontare. E sarà forse questa la sua salvezza, perché la sua naturale destinazione dovrebbe essere quella museale, mettendo in sicurezza tutto il complesso, ripulendolo e rendendolo fruibile.