Si è svolta la scorsa domenica all’Hotel Parco dei Principi di Roma l’assemblea nazionale del Partito Democratico, un appuntamento cruciale, visto il delicato momento politico, vissuto con non poca tensione. Non sono mancati, infatti, toni molto forti e botta e risposta tra i vari esponenti democratici. Già in settimana c’era stata, tra renziani e minoranza, l’ennesima battaglia sulle riforme in commissione alla Camera. La tensione dell’assemblea ha portato, poi, allo scontro aperto tra il Segretario e premier Matteo Renzi e la stessa minoranza di partito che da tempo rema contro le decisioni dell’ex sindaco di Firenze e si pone in maniera critica su tutte le principali riforme adottate dall’attuale governo. Tuttavia, una vera e propria resa dei conti, da molti pronosticata, non c’è stata. L’attacco più duro a Renzi arriva da Stefano Fassina che ha ricordato come lo scorso venerdì milioni di lavoratori abbiano perso una giornata di lavoro e di stipendio per far capire al governo che bisogna chiaramente cambiare l’attuale politica economica. La gravità secondo Fassina sta soprattutto nel silenzio totale di Matteo Renzi proprio sullo sciopero generale, a dimostrazione della poca importanza, per il Presidente del Consiglio, di chi è sceso in piazza a protestare. Per Fassina, in ultimo, è inaccettabile che il Pd non si ponga più come partito della nazione ma come strumento chiamato a mettere in pratica le decisioni assunte altrove dalla Troika. Ma Renzi non ci sta e attacca duramente coloro che stanno lì a “mugugnare sul governo che sta cambiando l’Italia”.
Come detto, nessuna resa dei conti c’è stata. Tuttavia, alcuni ora avanzano l’ipotesi forte di una scissione nel Partito Democratico. Chi non esclude questa possibilità è Civati, per il quale l’elezione del Capo dello Stato sarà un ulteriore passaggio cruciale perché bisogna eleggere una figura di alto profilo per le istituzioni. Altri, invece, affermano che ad oggi all’orizzonte non c’è nessuna scissione, almeno non in tempi brevi, proprio perché prima ci sono interessi importanti da definire, come la legge elettorale, la riforma del Senato e, appunto, l’elezione del Presidente della Repubblica. Infine, un dato di fatto per altri è che questa minoranza non ha numeri importanti per mettere in difficoltà Renzi. Ciononostante, è anche vero che può riuscire in qualche modo a far saltare i piani del premier, soprattutto perché, come è noto a tutti da qualche tempo, il cosiddetto patto del Nazareno non è poi così indissolubile. Probabilmente un vantaggio sulla minoranza Renzi ce l’ha a prescindere da tutto e dipende dalle divisioni interne alla stessa minoranza Pd, costituita da tre sezioni. La minoranza di Civati e Fassina, che qualcuno ha definito massimalista per la sua linea di dura opposizione. La minoranza di D’Alema che per molti si è indebolita drasticamente. Infine, la minoranza di Bersani, quella più folta e più “democratica”.
Eppure ad allontanare lo spettro della scissione è proprio Renzi il quale se da un lato ha certamente risposto con decisione agli attacchi della minoranza, dall’altro ha dato segnali di apertura sapendo bene quanto sia importante garantire l’unità sulle prossime scelte politiche. Non è quindi nelle intenzioni di Matteo Renzi arrivare alla rottura. Piaccia o non piaccia, il premier è deciso ad andare avanti per la sua strada.