Esattamente due anni fa moriva Stefano Basile, operaio di Casoria Ambiente vittima di un incidente sul lavoro, e poche ore fa l’ennesimo caso di incidente stradale in cui ha perso la vita un’anziana signora che appena pochi mesi fa aveva perso la figlia, travolta da un mezzo attrezzato per lo spazzamento delle strade che procedeva in retromarcia.
Purtroppo si sono registrati altri casi analoghi al punto che la questione è approdata in Parlamento.
Fatti gravi, non semplici fatalità attorno ai quali vogliamo costruire una riflessione, amara quanto necessaria.
Terra di confine è un’espressione suggestiva, che uso per rendere l’idea di cosa significhi vivere oggi a Casoria.
Il confine è più di un luogo geografico; è uno stato mentale, un universo parallelo in cui, spesso, leggi e regole non valgono o sono valide solo in parte e con un’applicazione distorta.
Forse perché le insidie sono tante, e forse anche per la necessità di adeguarsi velocemente ad una situazione mutevole che porta con sé meravigliose opportunità ma anche infinite insidie.
Nel Medioevo c’erano le Marche: feudi di confine che gestivano i commerci e la difesa del territorio in modo autonomo ma che, in fondo, erano sempre legate al potere centrale.
Al Re o all’Imperatore erano sempre dovuti il balzello, la tassa, il servizio militare poiché, come ricordava il grande studioso Luigi Blanch, il feudalesimo era una sorta di “prestito” da parte del Re ai suoi vassalli.
A Casoria, nel corso dell’ultimo trentennio, è avvenuta pressappoco la stessa cosa.
Provo ad offrire una riflessione in occasione, come detto all’inizio, della commemorazione della morte di Stefano Basile, l’operaio di Casoria Ambiente morto due anni fa a causa di un incidente sul lavoro, e a poche ore da un altro incidente in cui una donna anziana è stata investita presso un distributore di benzina, ed ha perso la vita in circostanze simili a quelle che avevano causato la morte della figlia.
Non sono argomenti lontani come potrebbe sembrare: gli incidenti mortali, la mancanza di sicurezza, le continue aggressioni e rapine o furti segnalati e denunciati dai cittadini, così come l’evidente stato di abbandono e di incuria in cui versano strade e gli edifici pubblici ci rimandano dritti alla sensazione di una terra di confine, appunto, dove si vive in modo diverso.
Chi di noi non ha in mente i western, le città polverose, poco più di villaggi, in cui la vita scorreva tra duelli, rapine e sparatorie nei saloon ed offrivano uno spaccato antitetico rispetto alle grandi metropoli europee coeve.
Certo, non voglio dire che siamo in un proverbiale far west, ma l’assuefazione di tanti cittadini e l’assoluta indolenza delle istituzioni ci fanno pensare che la direzione sia proprio quella.
In un paese normale ci si indignerebbe per le morti bianche, si reagirebbe alla violenza e si pretenderebbero da chi di dovere degli interventi tangibili per contrastare il senso di deriva al quale siamo abbandonati.
Invece niente di tutto ciò; proprio come nelle Marche, il potere politico da cui promana la guida amministrativa, è più preoccupato di pagare il balzello alle alte sfere, magari in Regione oppure a Roma che ad amministrare il territorio. E la ragione non è difficile da individuare: se amministri una città come Casoria ti appunti sul petto una medaglia che ti apre le porte verso ben altre cariche.
Dunque: perché affannarsi? Non siamo noi dei semplici automi, che rispondono agli stimoli i quali ci conducono verso la cabina elettorale gonfi di promesse e speranze?
Se ci si rifugiasse sull’Aventino, e si guardasse la città dall’alto, si arriverebbe alla conclusione che è mancata una sorta di rivoluzione culturale. Casoria è cresciuta a dismisura; un territorio su cui insiste il triplo della popolazione sostenibile e che vede ogni struttura urbana messa a dura prova, dall’ approvvigionamento idrico ai parcheggi, dalla viabilità all’ efficienza della burocrazia. Colpa del sacco edilizio dei ‘60? Certamente, ma anche di chi nel corso nelle successive amministrazioni non ha posto un freno alla situazione e, anzi, l’ha favorita. Ed oggi piangiamo tragedie come quelle degli operai o dei cittadini che perdono la vita in un modo così assurdo da sembrare grottesco, più che tragico. Cosa c’entra tutto ciò con la terra di confine? Semplice: in una terra di confine le regole basilari di ogni paese civile, come quella di guidare in modo coscienzioso sono favorite dalla sensibilizzazione già nelle scuole, e sono incoraggiate da un controllo rigoroso e puntuale da parte di chi deve far rispettare le regole e sarebbe troppo comodo additare i vigili urbani. Le piccole infrazioni quotidiane sono considerate alla stregua di lodevoli furbizie, così come l’ingegno partenopeo ci consente. Manca il senso civico, manca chi ci insegna perché è necessario averlo e chi sanziona coloro i quali se ne allontanano.
Una deriva di confine dunque, dove si pensa al sodo, a sopravvivere e dove tutti questi discorsi da “borghesia decadente” si scontrano con la tragicità della realtà fatta di camorra, di disoccupazione e povertà.
cui prodest? Forse in questa riflessione ci sono troppe domande e poche risposte, ma in ultima istanza, a chi spetta dare le risposte? E a chi, se non a noi, proporre le domande?
Troppa gente vuole fare l’una e l’altra cosa, dimenticando quello che si chiama rispetto dei ruoli.
Nel frattempo piangiamo le vittime della strada, le morti bianche e cerchiamo di sopravvivere alle insidie della criminalità. Aspettando la prossima tragedia… e la prossima fiaccolata.
Nelle terre di confine funziona così!