In assenza di partner fruibili, ambedue i sessi esercitavano l’autoerotismo. Le donne si deliziavano adoperando dei falli finti rivestiti in cuoio, talvolta attaccati a lacci anch’essi realizzati in cuoio ed aderenti in vita, così da fingere una penetrazione virile; il lubrificante usato era assai verosimilmente l’olio di oliva. L’attestazione di tale dispositivo è testimoniata dall’opera del poeta greco Eroda: dalla chiacchierata tra due amiche si desume che l’oggetto in disamina fosse un fallo in cuoio, impresa del calzolaio Cerdona. Un’altra fonte comprovante la presenza di questi arnesi è la coppa di Epiktetos, su cui è raffigurata una donna che impugna tra le sue mani, appagata, ben due falli artificiali. Per gli uomini il mezzo era la mano; l’ausilio veniva provvisto dalla sinistra, almeno conferendo credito a Marziale: “Pontico, perché tu non chiavi mai e tieni per amante la sinistra e questa mano amica fai servire agli uffici di Venere…”; ed aggiunge con causticità una malcelata disapprovazione: “A Orazio bastò una sola chiavata per generare tre ardimentosi Orazi, una a Marte per fare due gemelli. Tutto sarebbe perduto se entrambi fossero stati dei masturbatori delegando alle mani la ricerca dei godimenti immondi. La natura medesima ti dice, credi: Questo che sperdi tra le dita è un uomo, Pontico”. L’uso della mano sinistra quale star assoluta dell’autoerotismo maschile è confermato, inoltre, da una scritta pompeiana. Per uomini generati affinché padroneggiassero il mondo, le proporzioni della propria virilità erano essenziali. I possessori di un membro dalla misura extra large ispiravano un’elevata considerazione; Priapo, divinità ambasciatore della fecondità maschile, non titubava nel richiamare alla memoria, intimidatorio ed ardito, l’importanza di possederne uno poderoso e potente.
Registrati
Benvenuto! Accedi al tuo account
Forgot your password? Get help
Privacy Policy
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.