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Afragola nell’era del barocco

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Bassorilievo di angelo su acquasantiera (1)La calma portata al vertice del Regno dalla dinastia Sveva (1197 – 1265) e in particolare, lo stimolo allo sviluppo economico dato dal Re e Imperatore Federico II (1220 – 1250), permisero innanzitutto di portare a compimento il prosciugamento del Clanio, uscito dal suo alveo intorno al Mille. Anche la città fu interessata da questa rinascita agricola, e i possidenti maggiori iniziarono la costruzione delle masserie, che prendevano il nome da essi (come nel caso dell’area a nord di Napoli) o dalla località in cui sorgevano (più frequentemente in Puglia).
Agli inizi del Duecento, il casale di Afragola presentava un centro demico compatto, costituito dai villaggi gravitanti intorno alle chiese di Santa Maria e San Giorgio (e corrispondenti pressapoco agli attuali quartieri di: Santa Maria, Rosario, Ciampa e San Giorgio), un nucleo di case sparse poco lontano da S. Giorgio, costituente casavico, un ampio bosco a  sud est, all’interno del quale sorgeva la chiesa di San Marco, case sparse a sud presso Arcora e Salice, e vaste campagne a nord est, con le ricordate masserie. Quindi ci troviamo di fronte a un centro che è poco più di un villaggio, non circondato da mura e quindi definito “casale”, e considerato più come una propaggine di Napoli che come entità a se stante. Le attività principali sono ovviamente legate al mondo agricolo, soprattutto con la coltivazione del grano, che copre ampi brani del nostro territorio. Lo sconquasso al vertice dello Stato, con la sostituzione della dinastia Sveva con quella Angioina (1265 – 1458) ha conseguenze indirette anche qui: Arcora, villaggio posto in direzione di Napoli, viene completamente abbandonato; le imposte aumentano, per rimpinguare le esauste casse del Regno; e soprattutto, il feudalesimo assume  dimensioni pressochè totali nel casale, chiamato in questo periodo alternativamente Villa Afragorum, o Afraore.
Non sappiamo precisamente quando, ma è in epoca angioina che viene fondata l’Università, ente statale retto dai possidenti del casale, con limitati poteri di autogoverno. Intanto, la parte orientale del casale era oggetto degli abusi del barone, che dalla metà del Trecento appartiene ininterrottamente alla famiglia Bozzuto.
Nel 1576,  l’Università a richiedere il Regio assenso per la compera della parte del casale tenuta dal barone Paolo Bozzuto, corrispondente all’attuale area di san Giorgio. Fu una mossa dettata da una situazione imprevedibile: Bozzuto aveva chiesto a sua volta, poco prima, di rendersi unico signore del casale ( al netto dei terreni che appartenevano, e in alcuni casi appartengono ancora oggi, al Capitolo della Cattedrale di Napoli). In tal modo tutto il casale passò al Regio Demanio.
Siamo alle soglie del Seicento: le industrie di A. sono quella della fabbricazione dei cappelli e dei tessuti. La canapicoltura e l’agricoltura in genere sono le occupazioni principali degli abitanti. A. si identifica con Napoli, e difatti i casali a settentrione di questa ne sono parte integrante. Questo il motivo del perché, in linea generale, si registrano pochi eventi, se si escludono fatti di sangue: durante il secolo XVII, due afragolesi finiranno sotto i processi dell’Inquisizione, mentre i parroci denunceranno nei loro libri la sempre più costante presenza di squadre di campagna, vale a dire bande organizzate in lotta fra loro. Il secolo barocco origina anche il primo afragolese vescovo: Marco Baccina, vescovo di Trevico in Irpinia alla fine del secolo. Nel Settecento, inizia un periodo di rinnovamento artistico: le chiese di Santa Maria e San Giorgio sono restaurate e allargate ( nel caso della seconda, persino rifatte da capo), e l’ondata barocca investe persino palazzi civili e piccole cappelle: è in questa occasione che viene messa a nuovo, per la prima volta a quel che si sa attualmente, la cappella della Scafatella, ultimo lembo afragolese prima di Acerra.
Evitato di nuovo il rischio di cadere nella feudalità (rischio che divenne realtà invece per la vicina Fratta), Afragola affronta l’epopea napoleonica spaccandosi nettamente in due: la fazione giacobina innalza l’albero della libertà in Piazza dell’Arco, poi Piazza Municipio, in prossimità della pietra detta “basolo bianco”; quella reazionaria prende il sopravvento e condanna a morte i rivoluzionari, che in gran parte fuggono. A tale categoria appartiene anche Giuseppe Castaldi, primo storico della città.